Affrontare le difficoltà con resilienza
In molti ci suggeriscono di essere resilienti, ma raramente lo spiegano. Cosa significa essere resilienti? È un concetto chiaro? Quali sono i limiti della resilienza e cosa possiamo fare per favorire davvero una modalità efficace per affrontare le difficoltà?
Cosa significa essere resilienti?
Da diversi anni è diventato consuetudine usare il termine resilienza. Questa parola è diventata molto popolare nel descrivere il modo in cui le persone possono superare alcune difficoltà. La parola resilienza è originaria del mondo della fisica, e descrive la qualità di un oggetto di assorbire un urto senza rompersi. Questo termine è simile al concetto di resistenza, ma è più ampio. La resistenza è una modalità passiva di assorbire un urto e di rimanerne eventualmente scalfiti. Invece la resilienza è una modalità attiva che prevede anche una serie di reazioni meccaniche o biologiche che possono assorbire o rigenerare la parte danneggiata. Di conseguenza, essere colpiti dall’ambiente, non rompersi, ed eventualmente rigenerarsi, è una modalità efficace di affrontare le difficoltà ambientali.
Quando si parla di fisica il concetto di resilienza è molto utile. Se desiderassimo inviare un satellite sulla luna, sarebbe importante costruirlo con forme e materiali che, nel complesso, siano sufficientemente resilienti da permettergli di arrivare a destinazione operativo per fare quello per cui è stato progettato. Ragionando su qualcosa di vivo, la resilienza di una margherita può permettergli di continuare a funzionare dopo essere stata calpestata, rigenerando i tessuti danneggiati e continuando a svolgere la fotosintesi clorofilliana.
Nelle riflessioni psicologiche la resilienza viene frequentemente considerata l’obiettivo più ambito in ogni situazione di difficoltà. “Se saremo resilienti, supereremo la crisi in modo efficace e torneremo alla vita di prima. Ognuno tornerà al suo lavoro, ai suoi passatempi e ai suoi progetti”. Questa interpretazione della crisi è semplicistica e insoddisfacente, ed è possibile che vivere la crisi ragionando in termini generali di resilienza possa risultare di ostacolo. La resilienza è un concetto importante e utile, ma descrive un risultato che, se non viene spiegato nei suoi passaggi, può risultare fraintendibile e controproducente.
I limiti della resilienza
L’idea della resilienza è forte e colma di risvolti pratici e motivanti, ma contiene dei limiti. Riprendendo gli esempi descritti precedentemente, il satellite mandato sulla luna è una macchina che, una volta svolto il proprio lavoro, diventa un rottame spaziale. La margherita che sopravvive a un calpestamento riprende a vivere di terra, acqua e luce, ma non sa vivere sradicata, assetata o al buio. Diversamente il cactus è una pianta che si è evoluta per vivere nel deserto, ma anche solo per descrivere il passaggio dalla margherita al cactus ho dovuto abbandonare il termine resilienza. La margherita non diventerà mai un cactus e, se piantata nel deserto, morirà sempre.
Il limite principale della resilienza è che tramite la resilienza si ritorna sempre ad essere simili a sé stessi. Nuovi, cambiati, ma simili. Nella narrazione della resilienza l’identità che una persona coltivava prima di un’incidente in automobile, di una diagnosi di sclerosi multipla, di subire una violenza, è sempre almeno parzialmente recuperabile e rigenerabile. Il corpo e la mente non hanno resistito, ma possono conservare e recuperare almeno una parte di quello che, altrimenti, sembrerebbe perduto per sempre.
L’idea della resilienza è utile e spesso riesce ad offrire molta speranza. Quello della resilienza è un concetto che sa essere molto utile alle persone coinvolte nella crisi, come sa essere di conforto agli operatori che assistono le persone in crisi. Nei casi in cui è possibile recuperare il recuperabile, è importante farlo. Ma è altrettanto fondamentale riuscire a trovare il modo di affrontare il cambiamento anche al costo di modificare profondamente il proprio quotidiano e di abbandonare il proprio passato.
Cambiare in tempo di crisi da Coronavirus
L’invito generico alla resilienza può essere una risposta parziale e insoddisfacente a un problema globale che sta modificando la vita di milioni di persone. Il sistema sanitario sta lavorando sulla propria resilienza, cercando un nuovo equilibrio nel potenziamento dei servizi di rianimazione, nel tutelare l’incolumità del personale sanitario e nel curare il maggior numero di persone possibili. Il modello della resilienza è adatto a un’azienda sanitaria che rimane salda nei suoi obiettivi.
Per gli altri, invece, cambiare in tempo di crisi potrebbe significare reinventarsi completamente. Alcune persone potrebbero dover ripensare completamente i propri progetti o crearne di nuovi. Per alcuni, la crisi sanitaria ed economica potrebbe significare portare avanti progetti che, precedentemente, non avrebbero neanche considerato.
Cambiare in tempo di crisi significa essere resilienti, ma non solo nella prospettiva desiderabile di rigenerare quello che si è perduto. Eventualmente cambiare ed adattarsi al cambiamento imposto dalla crisi significa sopravvivere nonostante tutto, trovando modalità nuove ed efficaci per relazionarsi con il presente anche nel caso in cui non avesse più nessuna attinenza con il passato. Non si tratta solo di reagire o di essere flessibili, ma anche e soprattutto di essere presenti in un percorso privo di scelte predefinite che richiede versatilità per evolversi in un ambiente diverso da quello noto. Riuscire a trovare un ruolo attivo in un cambiamento che nasce da una crisi ambientale che ci vede tutti inevitabilmente passivi.
Per alcune persone, questa transizione può risultare più facile che per altre. La differenza, generalmente, è data dalla confidenza nel dialogare con i propri pensieri. Per chiunque riscontrasse difficoltà nell’adattarsi al cambiamento, suggerisco che la strada preferenziale sia dedicare tempo al dialogo interiore, prendendosi cura dei propri pensieri in modo che diventino uno strumento utile a interpretare la complessità del mondo in cui viviamo.