Riassunto
L'autosvelamento è quando lo psicoterapeuta condivide le sue emozioni in psicoterapia
Autosvelamento, esplicitare le emozioni in psicoterapia
In cosa consiste l’autosvelamento in psicoterapia? Quando è opportuna la self-disclosure? A cosa può essere utile esprimere ed esplicitare le emozioni del terapeuta in psicoterapia? Comprenderne i vantaggi ed i limiti può aiutare sia i clinici, sia l’utenza che la esperisce in psicoterapia.
Cos’è l’autosvelamento (self-disclosure)?
Il colloquio di psicoterapia consiste in grande quantità nella condivisione di informazioni private. L’autosvelamento (o self-disclosure) è il momento in cui lo psicoterapeuta rivela informazioni personali al cliente. Il contenuto dell’autosvelamento può comprendere opinioni, stati emotivi, aneddoti personali e informazioni sulla propria vita privata. Volendo, è possibile condividere informazioni su tutto. La domanda che è opportuno porsi è: Perché condividere informazioni private? A quale scopo? È utile?
Dipende.
L’obiettivo di ogni intervento psicologico professionale è che sia direttamente o indirettamente utile al benessere del cliente. Quindi, è opportuno interrogarsi su come e quanto può essere utile un autosvelamento.
Generalmente gli interventi di autosvelamento possono essere utili in 3 aree:
- Coltivare la relazione terapeutica
- Aiutare nella comprensione dell’intervento
- Migliorare la credibilità del messaggio condiviso
Autosvelamento e relazione terapeutica
Condividere informazioni personali può aiutare nella costruzione di una migliore relazione terapeutica. Dato che la psicoterapia è un processo comunicativo che si basa sulla condivisione di pensieri, ragionamenti e competenze, l’esperienza insegna che nella comunicazione le parole non hanno tutte lo stesso peso. Un pensiero acquista più credibilità quando viene espresso da una fonte considerata valida, attendibile e importante. Migliorare la relazione terapeutica permette di rendere importanti e credibili i discorsi condivisi, migliorando l’efficacia degli interventi terapeutici.
I limiti della relazione
Un limite dell’intervenire sulla relazione terapeutica consiste nel fatto che la semplice relazione non cura. La relazione terapeutica è uno strumento per uno scopo. È importante inserirvi contenuti terapeutici o rischia di essere disorientante nei confronti della natura della collaborazione terapeutica. Alcuni colleghi potrebbero sostenere opinioni diverse, affermando che la relazione terapeutica sia essa stessa un processo curativo. Ma è questione di punti di vista. I rapporti umani possono essere preziosi ed essere occasione per momenti di ristrutturazione personale fondamentale, ma sono un’esperienza profondamente diversa da un servizio professionale per la cura delle difficoltà emotive.
I rischi di promuovere attivamente la relazione
Inoltre, la relazione terapeutica nasce con premesse definite dal contratto terapeutico. La persona si rivolge in psicoterapia per chiedere aiuto nella risoluzione di una difficoltà personale, quindi per essere aiutata. Questa richiesta è alla base della relazione tra le persone coinvolte e deontologicamente è fondamentale preservare l’importanza di questa richiesta. Spostare eccessivamente il focus sulla costruzione di una relazione rischia di renderla una relazione non autentica, in quanto uno dei partecipanti sarà sempre percepibile come quello che sta venendo pagato per costruire una relazione di interesse. Le persone non hanno tutte gli stessi strumenti di comprensione delle dinamiche sociali, ed alcune hanno particolare difficoltà a discriminare tra un comportamento sincero e uno compiacente.
Quindi eccedere nel ruolo della relazione terapeutica rischia di innescare fraintendimenti o ambiguità che possono danneggiare il cliente sia nella relazione con il clinico, sia nelle sue opinioni verso la categoria professionale. Questo violerebbe l’obiettivo fondante precedentemente espresso: che ogni intervento psicologico sia direttamente o indirettamente utile al benessere del cliente.
L’autosvelamento è un processo personale che trae vantaggio dall’impersonale
Condividere elementi personali rischia di innescare esperienze competitive o avversive nei confronti della psicoterapia e dello psicoterapeuta. Altrettanto, selezionare eccessivamente i contenuti da condividere in base alle persone coinvolte rischia di minare l’autenticità dell’interazione. Questo porta ad un elemento controintuitivo ma fondamentale della relazione in psicoterapia. L’autosvelamento in psicoterapia è un intervento relazionale che trova la sua massima efficacia quando permette di comprendere elementi processuali e impersonali dell’esperienza emotiva del clinico. Non si tratta di sapere qualcosa dello psicoterapeuta, ma di capire qualcosa di come può funzionare una persona in alcune situazioni.
Con l’autosvelamento lo psicoterapeuta si rende esempio di un’esperienza umana, possibile, replicabile, migliorabile, peggiorabile e comprensibile.
Informazioni evidenti e meno evidenti
Nel colloquio di psicoterapia è possibile usare l’autosvelamento per condividere informazioni o opinioni. Condividere informazioni è un processo gestibile solo in modo parziale. Alcune informazioni sono evidenti e disponibili, mentre altre richiedono di essere esplicitamente condivise.
Le persone vedono lo psicoterapeuta e lo giudicano per il suo aspetto, il suo genere, la sua etnia, il suo modo di porsi, la sua età, il suo percorso di studi, il suo accento e infinite altre informazioni che contribuiscono alla costruzione di un profilo che può significare qualunque cosa sulla base delle esperienze personali di chi giudica.
Svelare informazioni non evidenti per aiutare a comprendere
Diversamente, l’autosvelamento delle informazioni non evidenti è una scelta. Può essere utile soppesare la scelta di condividere informazioni sul proprio orientamento sessuale, sul credo religioso, sullo stato di famiglia o sulla relazione di coppia in corso. Essere autentici può comportare scegliere di parlare di tutto, ma altrettanto è utile capire il senso di tale curiosità. Sapere se ho o non ho figli può portare alcune persone a formulare opinioni sulla mia capacità di comprendere le sfide genitoriali, ma esplicitare tale credenza è utile per far emergere come non ci si rivolge allo psicoterapeuta in quanto “amico genitore”, ma nel suo ruolo professionale che prevede il fare riferimento ad argomenti di cui ha studiato.
Esprimere opinioni sulla base delle proprie esperienze personali senza generalizzarle ad un funzionamento universale è un comportamento errato. L’autosvelamento è la condivisione di informazioni personali che riescono ad essere utili solo quando permettono l’accesso ad elementi processuali impersonali.
Per lavorare con chi soffre serve competenza emotiva, non sofferenza emotiva.
Comprendere questo passaggio può essere utile per aiutare la persona a comprendere che l’obiettivo della collaborazione psicologica non consiste nello snaturarsi e diventare un’altra persona, ma nell’acquisire competenze che, se applicate, permettono di essere persone diverse.
Svelare le proprie opinioni
L’autosvelamento più importante, pericoloso ed efficace, consiste nella condivisione di opinioni.
Esprimere un’opinione è un rischio, perché consiste nel prendere una posizione che potrebbe risultare ostile o giudicante e provocare una rottura nel rapporto terapeutico. La coordinata fondamentale è sempre: Quanto può essere utile per il cliente?”. Alcune opinioni possono essere preziose per capire da quale prospettiva approcciare un argomento. L’espressione più chiara e comprensibile delle opinioni si ottiene facendo riferimento alle emozioni.
Le emozioni sono una modalità naturale e spontanea con cui la mente categorizza e valuta i pensieri. Di conseguenza, esprimere opinioni significa condividere contenuti emotivi.
Autosvelamento delle emozioni
Esprimere felicità per qualcosa implica sottolineare un giudizio di desiderabilità verso una componente di quanto viene discusso.
Condividere tristezza comunica la presenza di un’assenza che si ritiene utile che la persona riconosca per formulare strategie efficaci a superare gli eventuali ostacoli.
Mostrarsi sorpresi per un contenuto implica il riconoscimento di una novità che può essere un progresso o un’informazione da tenere in considerazione per arrivare all’obiettivo desiderato.
Generalmente l’espressione della paura viene utilizzata per esplicitare i possibili rischi verso cui si ritiene utile che la persona si prepari prima di esporsi a un’esperienza prevista.
Quando si incontrano ostacoli frustranti che richiedono un certo grado di insistenza per ottenere un risultato, esprimere rabbia in modo cooperativo e collaborativo può essere una modalità efficace a spronare a insistere e tollerare la difficoltà della sfida.
Infine, il disgusto ha un ruolo delicato ma potenzialmente determinante. Con il disgusto lo psicoterapeuta esprime la violazione di un valore personale, e tale condivisione può essere fondamentale per comprendere l’autentica convinzione del professionista riguardo al messaggio condiviso.
Gli autosvelamenti possono andare male
Chiaramente, ognuno di questi autosvelamenti può andare male.
Condividere un’emozione può stimolare una risposta emotiva avversiva o competitiva, o innescare reazioni implosive e demotivanti che possono ostacolare la capacità della persona di prendersi cura di sé.
Ogni intervento di autosvelamento, per quanto potenzialmente utile, va considerato all’interno di una lettura realistica della relazione terapeutica. Sottolineare la propria esperienza emotiva in modo comprensibile e costruttivo tenendo conto delle risorse della persona a cui ci si rivolge, può migliorare la credibilità del messaggio condiviso. Infatti, condividere una riflessione impersonale su un risultato raggiunto (es. “sei riuscito a fare x”) ha un significato diverso da esprimere una partecipazione emotiva (es. “sono felice tu sia riuscito a fare x”) che è importante sia espressa nel modo più comprensibile possibile (es. “sono felice che tu sia riuscito a fare x, che è quello che desideravi tanto riuscire a fare per i motivi y e z”).
Limitarsi ad un’espressione sintetica della felicità può dare adito ad ambiguità e fraintendimenti.
Esplicitare e spiegare gli autosvelamenti
Esprimere un’emozione senza spiegare il pensiero che lo innesca è un possibile errore nell’esecuzione dell’autosvelamento. Infatti, dare spazio al vissuto emotivo dello psicoterapeuta è utile per condividere riflessioni impersonali sul funzionamento emotivo. Per farlo, è necessario spiegare esplicitamente i processi in essere (contestualmente o in un discorso specifico) e autorizzarsi a prendersi lo spazio per condividerle in modo costruttivo e comprensibile.
Per chi usufruisce di un servizio di psicoterapia può essere utile essere consapevole di alcuni elementi dell’autosvelamento. Chiedere informazioni private ad uno psicoterapeuta è lecito, ma solo se argomentato in modo costruttivo e coerente con gli obiettivi della collaborazione.
Leggere e comprendere le opinioni e emozioni del proprio psicoterapeuta ha un valore relazionale e comunicativo importante per favorire gli obiettivi condivisi. Inoltre, il professionista che esprime volutamente emozioni in psicoterapia offre occasione di esperire un confronto reale che, per quanto strutturato e protetto, è un’esperienza umana autentica da cui è possibile fare esperienza per migliorare alcuni strumenti emotivi personali utili ai fini della collaborazione.
In caso di dubbi, perplessità e fraintendimenti nei confronti delle emozioni altrui, in psicoterapia come in quasi ogni altro contesto, parlare e confrontarsi può aiutare a risolvere alcune situazioni emotivamente difficili.
Scaletta del video – L’autosvelamento in psicoterapia – Esprimere ed esplicitare le emozioni – Valerio Celletti