Parlare di CoronaVirus è complicato
Una breve riflessione sulla complessità del tema CoronaVirus, visto dalla zona rossa.
In questi giorni sono stato indeciso sul da farsi. Pubblico spesso contenuti scritti e video sul mio profilo da psicologo, e sarebbe stato naturale pubblicare qualcosa in merito alla situazione attuale. In Italia il 21 febbraio 2020 si è diffusa la paura del CoronaVirus, ed oggi tutti parlano solo di quello. Per la maggior parte delle persone può essere un argomento limitato alla televisione. Basta spegnerla e non se ne sente più parlare. Ma in questo momento mi trovo a Casalpusterlengo, nella zona rossa della quarantena del Basso Lodigiano dove ho deciso di trasferirmi qualche mese fa, ed è difficile cambiare argomento anche se fortunatamente tutti quelli che conosco sembrano non avere il CoronaVirus. Quello che posso osservare è che, in questo momento, quasi tutti ne stanno subendo le conseguenze indirette. C’è chi è preoccupato per l’amico ammalato, chi è preoccupato perché potrebbe attaccare il virus al figlio o chi si preoccupa per il parente anziano che potrebbe ammalarsi; e infine c’è chi ha esigenze sanitarie che gli sono state sospese perché “signora, non può venire a farsi la chemioterapia se viene dalla zona rossa, potrebbe contagiare tutti”.
La pandemia al tempo della post-verità
Sono stato indeciso sul se scrivere qualcosa in merito al virus, perché in televisione, salvo alcune eccezioni, l’argomento assume toni da giorno del giudizio. Sui social ho avuto occasione di leggere o vedere qualcosa pubblicato da colleghi: c’è chi parla di “come gestire la paura da CoronaVirus”, chi “regala offerte promozionali alle persone in quarantena” e chi lancia minacce di guerra al virus intonando un “gli faremo vedere di che pasta siamo fatti”. Potrebbe bastare questo per considerare che, forse, in pochi giorni è stato già detto tutto e il contrario di tutto. La pandemia al tempo della post-verità è un problema che coinvolge la semantica e le logiche di mercato secondo modalità difficile da digerire.
Se ci sono problemi con l’ascensore, chiamate i pompieri
Basti pensare a una persona del posto che, parlando con i giornalisti, si è fatto scappare la frase “si vive alla giornata” parlando dell’incertezza rispetto al domani per la rapidità dei cambiamenti in corso, ed è stato criticato come sensazionalista e divulgatore di terrore ingiustificato. Dopo 5 giorni dall’inizio della quarantena, nei prossimi giorni mi troverò a passare al supermercato per comprare qualcosa che accompagni i 10 kg di pasta fortunatamente presenti in dispensa. Ragionevolmente so che non avrò problemi a superare le due settimane, ma è altrettanto importante considerare che non siamo abituati a non avere certezza di quello che troveremo al supermercato. Gli allenamenti degli sportivi sono interrotti, le diete controllate sono saltate, la socialità è limitata al minimo, il tecnico dell’ascensore ha lasciato un biglietto sulla porta del condominio con scritto “se ci sono problemi con l’ascensore, chiamate i pompieri”. Chi stava lavorando su alcuni progetti, si può trovare con i documenti in ufficio fuori dalla zona rossa e senza la possibilità di recuperarli per due settimane. Per molte persone potrebbe essere un problema da nulla, sono due settimane di riposo in casa. Mentre per altri si tratta di due settimane di interruzione nella loro personale corsa contro il tempo in cui avevano già l’acqua alla gola per i loro motivi.
La rabbia delle persone in quarantena
Forse, per alcune persone, essere obbligate a fermarsi è la cosa migliore che gli possa capitare. Per altre, invece, è una costrizione a tratti irragionevole. Nelle conversazioni di whatsapp tra gruppi di persone in quarantena, la rabbia dilaga. Esistono famiglie che reggono per anni o per decenni ignorandosi, scappando nel lavoro, nelle vacanze e nei passatempi. Poi arriva il CoronaVirus e può capitare di essere tutti chiusi in casa, con locali e luoghi di aggregazione chiusi per decreto legge, scuole chiuse per settimane, divieto di allontanarsi dalla zona e invito a non riunirsi in gruppo. Non essendo residente in Casalpusterlengo, lunedì 24 ho chiesto informazioni per avere una certificazione della mia presenza nella “zona rossa” e la Prefettura di Lodi mi ha mandato al Centro Operativo Misto di Codogno per farmi rilasciare un certificato. Trovarlo non è stato immediato, dato che nessuno per strada sapeva indicarmi la sede del Centro Operativo Misto (per la cronaca, è in Viale Medaglie d’Oro); ma non trovarlo subito mi ha dato l’occasione di girare per un’ora per le strade di Codogno tenendomi a distanza di sicurezza dagli altri. Ma non serviva avvicinarsi, le finestre di molte case erano aperte e, giorno 3 della quarantena, ho sentito diverse litigate. “Se devi stare qui a comportarti come un deficiente, vattene a casa dai tuoi genitori!”. Ed era solo il terzo giorno.
La paura del CoronaVirus non deve distogliere dal resto
Quindi, per dare un messaggio in parte personale e in parte professionale sulla situazione del CoronaVirus, mi sento di suggerire che il centro della questione non sia tanto la paura del CoronaVirus. O meglio, tutti hanno diritto ad essere spaventati quando e quanto vogliono, ma poi la paura, come succede spesso, quando è troppa rischia di creare soprattutto confusione portando a sovrastimare alcuni fattori e ad ignorarne altri altrettanto importanti. Il CoronaVirus è un virus che per la maggior parte delle persone può essere quasi completamente innocuo, mentre per altri può essere letale. I rischi maggiori sono per le persone debilitate. Vivendo nel centro storico di Casalpusterlengo in 5 giorni ho perso il conto delle ambulanze che passano sotto casa, fermandosi nei palazzi vicini. Sarebbe comprensibile essere preoccupati per la salute delle persone da cui si è fermata l’ambulanza. Speriamo stiano bene. Però è importante che la preoccupazione per la loro salute non distolga dal resto. Durante queste due settimane ci sono famiglie che riscopriranno il piacere di stare insieme, ed altre che capiranno definitivamente di non sopportarsi più. Alcune persone riprenderanno fiato da un lavoro senza pause, mentre altri scriveranno l’ultimo capitolo di alcuni progetti che, forse, avevano comunque i giorni contati. Alcuni, molti, si stordiranno di serie televisive senza accorgersi del tempo che passa, mentre altri, spero pochi, perderanno qualcuno che amano.
Gestire le conseguenze della gestione del CoronaVirus
Senza filosofeggiare (o mercanteggiare) sul valore di una perdita, dato che ognuno ha diritto di dare un valore molto personale a quello che perde, il CoronaVirus può comportare numerose perdite più o meno gravi, ma altrettanto è importante considerare che anche le conseguenze della gestione del CoronaVirus possono essere gravi. Decidere di limitare questo rischio a un numero ristretto di persone, è una scelta sensata. Se è possibile limitare la diffusione del CoronaVirus, si limiterà anche la diffusione delle sue conseguenze sia in termini di perdite dirette, sia di perdite indirette dovute alle sue conseguenze e alle iniziative intraprese per gestirle. È importante evitare una caccia alle streghe che possa risultare peggiore del problema stesso, ma altrettanto è importante fare qualcosa per tutelare le persone più anziane che potrebbero esserne le maggiori vittime. È complicato prendere una decisione su cosa sia opportuno fare. È importante evitare di suggerire scelte drastiche solo per il gusto di mostrarsi interventisti, come è altrettanto importante decidere di fare qualcosa che cerchi di essere concretamente utile.
Avere paura del CoronaVirus può essere utile, entro certi limiti
Quando si ragiona sulla paura, non significa che non si debba avere paura di quello di cui si parla. Ha senso che possano spaventare, altrimenti non se ne proverebbe paura. Quello che è importante è trovare un’utilità nella paura. Le emozioni non sono distinte in positive e negative. Tutte le emozioni hanno una loro utilità se vissute entro una certa soglia di intensità. Oltre quella soglia, di solito, tendono a manifestare controindicazioni ed effetti collaterali. La paura è un’emozione fondamentale. Senza la percezione della paura l’umanità si sarebbe già estinta da molto tempo. Quello che un tempo poteva essere utile per gestire il pericolo dei predatori, oggi può essere utile per confrontarsi con un datore di lavoro, con una persona che si desidera, con il surriscaldamento globale o con il CoronaVirus. Smettere di uscire dalla propria caverna per timore dei predatori non ci avrebbe portato lontano; ma girare incautamente senza nessuna strategia sarebbe stato altrettanto inutile. Allo stesso modo, per affrontare il CoronaVirus non serve né chiudersi tutti in casa, né additare alla psicosi minimizzando un pericolo che esiste, ma che probabilmente minaccia solo una parte debole (sotto diversi punti di vista) della popolazione. Se tutti iniziassero a prendere qualche precauzione in più, forse riusciremmo a tutelare i più deboli. Lavarsi le mani più spesso (qualche volta al giorno, non tutto il giorno), curarsi in modo responsabile (seguendo le prescrizioni mediche) e, perché no, stare a casa quando si ha la febbre evitando di lavorare da malati nonostante si sia sprovvisti delle tutele sanitarie. E, ulteriormente, serve gestire la rabbia in modo costruttivo. Essere limitati può fare arrabbiare, come può far rabbia pensare che gli altri ricevano trattamenti preferenziali per qualche ragione. Entro certi limiti, anche la rabbia è un’emozione utile.
Non esistono problemi banali, soprattutto se riguardano tante persone
Il CoronaVirus è un virus come probabilmente ne esistono molti, ma gestirlo innesca numerosi problemi che richiedono competenze non banali. Serve sapersi organizzare in autonomia per gestirsi nel quotidiano. Non avere esigenze mediche particolari. Avere abbastanza spazio per vivere comodamente. Non aver delegato nulla di fondamentale a servizi che saranno interrotti per la quarantena. Saper accettare di buon grado le limitazioni e saper tollerare la frustrazione. Voler provare a gestire i rapporti interpersonali e la rabbia che ne può conseguire. Conoscere la paura e saperla gestire in modo costruttivo. E molto altro. In attesa che la Rai produca una fiction sulle vicende accadute durante “i 14 giorni della quarantena di Codogno”, potrebbe essere utile sforzarsi di parlare di questo argomento in modo realistico e rispettoso. Per farlo, è importante ricordarsi che la situazione non è tragica, ma è più complicata di come può sembrare. Non si tratta solo di chiudere un casello autostradale, ma di fermare il quotidiano di 50.000 persone e, di conseguenza, 50.000 storie diverse. Ognuno ha la sua complessità ed il proprio bagaglio di risorse. Sarebbe bello se tutti noi cogliessimo le occasioni che ci capitano per acquisire un buon numero di risorse. Ma, invece, è abitudine comune svegliarsi all’ultimo minuto per fare le cose senza un’adeguata preparazione. È comprensibile. Poi, arriva una quarantena, e per 14 giorni devi farcela con quello che avevi già preparato. Non è come essere in guerra, non siamo in Siria, non è quel livello di difficoltà. Ma non esiste solo quello.