Riassunto
Sarebbe bello se il mondo fosse giusto, ed è comprensibile desiderare lo sia. Ma pensare in modo troppo rigido che il mondo debba essere sempre giusto rischia di avere conseguenze sulla salute mentale.
Il mondo deve essere giusto?
È frequente sentire dire che il mondo deve essere giusto. È un pensiero frequente e condivisibile, ma contiene alcune insidie. Se non vissuto in modo realistico, rischia di portare a rabbia e stress sociale, ed alcune volte anche alla depressione.
L’emozione della giustizia
Desiderare un mondo giusto è naturale e condivisibile. L’ideale di giustizia è alla base della maggior parte delle ideologie ed è utilizzato anche per parlare dell’emozione primaria della rabbia.
Infatti la rabbia è un’emozione fondamentale attivata dal desiderio di cambiamento; le persone si arrabbiano per modificare un comportamento altrui, una situazione, una caratteristica personale o un oggetto che non funziona come avrebbero sperato.
Spesso la rabbia è sintetizzata anche come l’emozione della giustizia, che si attiva in seguito ad avvenimenti riconosciuti come ingiusti. Detta in modo più corretto, il nostro desiderio di giustizia è così radicato nel nostro modo di vedere il mondo che è naturale desiderare di cambiare quello che riteniamo ingiusto. Quindi tecnicamente non è esatto dire che la rabbia è l’emozione della giustizia, ma aiuta a capire il concetto.
Tutti generalmente tendono a percepire l’ingiustizia come un problema.
Giustizia ufficiale, ufficiosa e personale
Nonostante la giustizia sia un concetto assoluto, nella pratica è estremamente frammentato al punto che è possibile individuale diversi livelli di giustizia e tante varietà quante sono le persone al mondo.
Il livello più chiaro ed evidente è la versione ufficiale formalizzata nelle leggi, segue una ufficiosa tramandata culturalmente ed una personale di cui a volte non è pienamente consapevole neanche il portatore.
La giustizia ufficiale
Socialmente l’unica vera giustizia è quella ufficiale. Le persone rispondono alle leggi e la sicurezza viene amministrata cercando di applicare il più possibile le leggi dello stato. Però ogni stato ha leggi diverse che vengono aggiornate e modificate continuamente. Quindi la legge ufficiale non è un concetto assoluto, è relativo al luogo ed al momento storico. Curiosamente la legge è nota agli addetti ai lavori, ma la popolazione generale tende a non conoscerla ed a fare generalmente riferimento a concetti più ufficiosi.
La giustizia ufficiosa
Infatti nonostante la legge sia l’unica giustizia riconosciuta, le persone fanno più spesso riferimento alla giustizia ufficiosa intrinseca nei valori culturali. Si tratta di valori tramandati di generazione in generazione tra familiari o conoscenti. Ogni gruppo etnico, culturale, sociale, famiglia, ha una sua giustizia ufficiosa che coltiva senza mai formalizzarla efficacemente. Quando un elemento ufficioso è sufficientemente diffuso, ha buone probabilità di essere preso in considerazione per diventare nazionale ed ufficiale. Fino ad allora, è solo un’idea più o meno diffusa nella popolazione.
La giustizia personale
Infine esiste un terzo livello di giustizia. Dato che nessuno acquisisce passivamente le informazioni ambientali, ognuno sviluppa un proprio personale senso di giustizia. Generalmente è la conseguenza della propria storia di vita e delle proprie esperienze, ma generalmente attinge a piene mani dalla giustizia ufficiosa e, in alcuni casi, dalla giustizia ufficiale. Quando una persona si esprime sul tema della giustizia, fa sempre riferimento alla sua idea personale di giustizia, che spesso coincide con alcuni temi ufficiosi ed a volte è sovrapponibile con la giustizia ufficiale.
Ideali personali e giustizia mondiale
Quando le persone desiderano che il mondo sia giusto, raramente sperano in un’applicazione efficace delle leggi. Spesso sperano che succeda quello che hanno appreso nella loro cultura di riferimento e quasi sempre parlano soprattutto della loro visione del mondo.
Dato che ognuno ha un’ideale personale di come dovrebbe essere un mondo giusto, ne consegue che tutti finiscono per risultare sempre almeno in parte ingiusti agli occhi altrui. La socialità e l’interagire con il mondo provoca spesso un certo grado di rabbia, dovuta anche al senso di ingiustizia che è naturale percepire nelle interazioni sociali e ambientali.
Partecipare al mondo è un’esperienza naturalmente stressante. Incontrarsi e scontrarsi è inevitabile e spesso produce momenti più o meno ingiusti a seconda del criterio utilizzato. Sarebbe impossibile essere sempre giusti se le persone dovessero tenere in considerazione la giustizia personale di ognuno. Per tale motivo la giustizia ufficiale è la soluzione migliore possibile per favorire un mondo il più giusto possibile. Al contempo, le persone vivono il mondo dal proprio punto di vista personale, percependolo spesso, inevitabilmente, un mondo ingiusto.
Convinzioni rigide in un mondo complesso
Essere convinti che il mondo debba essere necessariamente giusto, è un’affermazione rigida che rischia di essere controproducente. Infatti è giusto desiderare un mondo giusto, ma desiderare che tutti al mondo seguano il nostro personale criterio di giustizia, o che si adeguino all’idea del mio gruppo che sicuramente è in contrasto con l’idea di molti altri gruppi, è irrealistico.
E se non esistessero altri gruppi? Se esistesse solo il proprio?
Anche in quel caso, dentro il gruppo ci sarebbero sempre idee personali di giustizia che porterebbero a sottogruppi che nel tempo non ricorderebbero più di provenire tutte dallo stesso gruppo. Un po’ come nella situazione attuale.
Una visione dicotomica del mondo
Una visione dicotomica del mondo diviso tra giusti e ingiusti è una prospettiva dolorosa, irrealistica ed emotivamente insostenibile. Tutti violano almeno parzialmente il senso di giustizia altrui. Troppo coinvolgimento emotivo è spesso conseguenza di una scarsa lucidità nella comprensione della complessità del problema. Le soluzioni realistiche ed efficaci tendenzialmente derivano da un processo di mediazione e collaborazione, e solo raramente da soluzioni brusche e nette.
Chi è profondamente arrabbiato ed addolorato dalle ingiustizie spesso invoca soluzioni estremiste e violente sperando di portare la propria giustizia in un mondo che in realtà trarrebbe giovamento dalla violenza solo nel caso in cui si progettasse di rimanere l’unico essere vivente sul pianeta. In tutti gli altri casi, la convivenza e la mediazione sono obiettivi fondamentali, sia nelle azioni, che nel pensiero.
Promuovere giustizia
Per ottenere una soluzione efficace alle ingiustizie, serve desiderare la giustizia in modo flessibile. Serve aver chiaro il riferimento alla giustizia ufficiale e non a quella ufficiosa o personale. E nel caso in cui si sia insoddisfatti dalla giustizia ufficiale, serve lavorare prima sulla diffusione di quella ufficiosa e poi, in un secondo momento, promuoverne l’ufficialità. Invece desiderare che il mondo segua senza indugi un criterio di giustizia personale è inefficace perché non fa altro che diffondere qualcosa che gli altri percepiranno sempre come un’ingiustizia a cui, di conseguenza, risponderanno.
Vivere con rigidità il tema della giustizia può esporre al rischio della depressione. Le persone che soffrono di vissuti depressivi tendono a sentirsi tristi nel percepirsi come le uniche al mondo a vivere il proprio punto di vista, senza rendersi conto che esistono invece molti punti di contatto con gli altri. Perdere contatto con gli altri spesso provoca un disgusto verso chi non viene riconosciuto come dello stesso gruppo, aumentando il divario e l’incomunicabilità. E dato che tale esperienza è dolorosa e comprensibilmente da modificare, ne consegue che è naturale viverla come un’ingiustizia che provoca rabbia e confusione, dentro e fuori di sé. Prendersi cura di sé a volte si traduce anche nel prendersi cura della propria idea di giustizia, perché sia il più realistica ed efficace possibile.