Il ruolo del pensiero in psicologia clinica: Cosa vuol dire “dialogare con i pensieri?”

Il ruolo del pensiero in psicologia clinica Cosa vuol dire dialogare con i pensieri

Hai mai sentito parlare dell’importanza di dialogare con i pensieri? Qual’è il ruolo del pensiero in psicologia clinica?

Quello del pensiero è un argomento molto ampio. Mi limiterò ad una trattazione clinica del termine, coerente con la psicoterapia cognitivo comportamentale. Non pretendo di essere esaustivo, ma desidero suggerire qualche spunto di riflessione per tutti coloro che non hanno chiaro cosa si intenda quando si parla di “dialogare con i pensieri”. Dialogare con i pensieri è un’abilità fondamentale per la regolazione emotiva. La psicoterapia è un contesto in cui ci si impegna ad imparare a dialogare con i propri pensieri.

Che cosa è il pensiero?

Il pensiero è l’esperienza più importante della nostra attività mentale e si crea come conseguenza dell’attività cognitiva. “Per cognizione si intendono la comprensione e le ulteriori assimilazioni neuronali di differenze e affinità sensoriali o, per l’esattezza, di varianze e invarianze” (L. Ciompi). In altri termini, ogni volta che il cervello elabora un’informazione lo fa tramite un processo cognitivo.

Abbiamo quindi un cervello (organo) che produce attività cognitiva (chimica) che, se ha un’organizzazione carica di senso, può essere considerata un pensiero (mente). I pensieri possono poi essere distinti secondo almeno due criteri. 1) Qual è il contenuto delle loro informazioni. 2) Quanto sono accessibili volontariamente (coscienza).

Secondo questi criteri, in psicologia clinica è utile distinguere tra cognizione e metacognizione e tra pensiero esplicito e pensiero implicito.

La cognizione

Tutti gli stimoli provenienti dagli organi di senso (vista, olfatto, gusto, tatto, udito) vengono elaborati dal cervello. La cognizione stimolata dagli organi di senso si riferisce al mondo che ci circonda e al nostro corpo. Quando il cervello elabora un’informazione sulla realtà con cui entra in contatto, produce una cognizione. Tutti gli esservi viventi dotati di cervello producono cognizioni che guidano il loro comportamento.

Un esempio di cognizione è il pensare qual è il nome dell’oggetto che sto impugnando. Un’altra cognizione può essere il nome o l’immagine della meta verso cui mi sto dirigendo.

Gli esseri umani hanno sviluppato un modo sofisticato di elaborare le cognizioni utilizzando il linguaggio. Creare suoni o simboli che riassumano un significato permette di ragionare in modo più efficace. Si aprono numerose possibilità osservabili nella creatività della produzione umana e, al contempo, ci si espone ad alcuni rischi nel momento in cui si creano significati complessi e potenzialmente contraddittori.

La psicoterapia cognitivo comportamentale

Aaron Beck fondatore della psicoterapia cognitivo comportamentale

Aaron Beck

Alcune difficoltà emotive possono nascere da un’interpretazione errata della realtà. La psicoterapia cognitivo comportamentale (CBT) deve i suoi primi successi clinici alle intuizioni di Aaron Beck degli anni ’60. Per esempio, i problemi psicologici associati all’ansia patologica spesso contengono un’interpretazione inefficace della realtà. Comprendere e correggere la propria visione della realtà permette di migliorare e risolvere la maggior parte dei sintomi esclusivamente ansiosi.

Prima di Beck, era diffusa la convinzione che l’ansia derivasse da un ragionamento inconscio personale o sociale. All’epoca era opinione comune che l’ansia fosse un problema da eliminare. In parte si pensava che potesse essere paragonabile a una malattia contratta in modi incomprensibili e, sulla scia di questa idea, erano nate teorie che attribuivano le difficoltà psicologiche ad origini traumatiche. Ai clinici sembrava che solo un evento fuori dalla norma potesse spiegare un’esperienza emotiva dolorosa. Oggi sappiamo che l’ansia è un’emozione naturale e che diventa un problema solo se eccessivamente intensa. L’ansia è prodotta da un pensiero che la innesca e che, come ogni altra cognizione, può essere modificato. Le difficoltà emotive non nascono necessariamente in contesti traumatici, ma possono esserne influenzate.

La metacognizione

Se le cognizioni contengono significati utili a interpretare la realtà, con il tempo il significato diventa altrettanto reale. Quando si organizzano le cognizioni con ulteriori criteri simbolici, si crea una metacognizione. Una metacognizione quindi è un pensiero su un pensiero. Per fare un esempio, se Paolo, Mario e Simone possono essere il nome di tre persone (cognizione), raggrupparli nella categoria “amici”, “colleghi” o “persone simpatiche” è una metacognizione. Nelle metacognizioni i pensieri diventano complessi e contengono ulteriori definizioni. Nell’esempio precedente, ho aggiunto a delle persone la definizione di amicizia, colleganza o simpatia.

Riferito a se stessi, è una metacognizione ogni etichetta che ci si attribuisce. Ritenersi una persona allegra, triste, socievole o imbranata, sono metacognizioni. I primi studi sulla metacognizione nascono in pedagogia con lo studio delle tecniche di apprendimento. Studenti dal basso rendimento scolastico tendono a considerarsi dei pessimi studenti. Contemporaneamente, considerarsi un pessimo studente è un pensiero che, se si ripresenta mentre si studia, innesca vissuti depressivi che ostacolano la memorizzazione di quello che si sta leggendo.

Vivere passivamente le metacognizioni rischia di condannare a vivere profezie che si autoavverano.

La psicoterapia metacognitiva

La maggior parte dei disturbi psicologici può essere descritta da un funzionamento metacognitivo disfunzionale. Per esempio, un problema di autostima si riferisce al modo in cui una persona si attribuisce etichette pensando a se stessa, quindi al modo in cui ragiona metacognitivamente su di sé. Il primo ad intuire (in modo scientifico) che le difficoltà psicologiche potessero essere causate dal modo di pensare fu Albert Ellis. In parallelo ad Aaron Beck, Ellis pose l’attenzione sulla rigidità del modo con cui ci osserviamo e sull’intensità emotiva che ne consegue. Stili di pensiero più moderati e improntati al dubbio conducono a vissuti emotivi moderati e permettono comportamenti più efficaci.

Adrian Wells autore fondamentale della psicoterapia metacognitivaAd oggi, l’autore che più di tutti esplora il tema della metacognizione è Adrian Wells. Wells è il fondatore della psicoterapia metacognitiva (MCT). Nella psicoterapia metacognitiva non si lavora sui contenuti del pensiero, ma esclusivamente sul processo sottostante. Perciò una possibile soluzione al disagio psicologico è anche l’apprendimento di modalità di gestione della presenza di un pensiero indipendentemente dal suo contenuto. Scuole diverse affrontano diversamente il problema anche se sottendono un’idea simile. Alcuni approcci sono più invasivi di altri. Tra i più invasivi osserviamo gli approcci psichiatrici della lobotomia (ormai abbandonata) e degli psicofarmaci. Tra i meno invasivi troviamo le scuole comportamentiste che promuovono meditazione e tecniche di rilassamento.

Il pensiero esplicito

Quando pensiamo volontariamente a un pensiero, stiamo utilizzando un pensiero esplicito. Se per fare un’operazione aritmetica ci soffermiamo su ogni passaggio, stiamo utilizzando una modalità esplicita di pensare per risolvere un problema. In questo senso, fare esperienza del pensiero esplicito è semplice: è la modalità di cui ci rendiamo conto più facilmente e a cui tendiamo a fare riferimento quando si parla di pensieri.

Il pensiero implicito

Il pensiero implicito, invece, è quello di cui non ci rendiamo immediatamente conto, nonostante ci tenga compagnia in ogni momento. Una sua variazione può essere intuita da quel sorriso che a volte sembra nascere spontaneamente quando si sente il sole scaldare il corpo, o quell’espressione di disgusto che accompagna la vista di un cameriere con le dita nel piatto che ti sta servendo. In entrambi i casi, il sole e il calore non producono sorrisi (come infatti non accade in una città afosa d’estate) e le dita non sono generalmente disgustose, altrimenti proveremmo disgusto ogni volta che vediamo delle mani.

l'immagine di un iceberg rappresenta il rapporto tra pensiero esplicito e pensiero implicitoLe emozioni sono prodotte dal valore attribuito al pensiero che le innesca, non sono caratteristiche intrinseche della realtà. Le espressioni emotive possono essere di grande aiuto per accorgersi delle emozioni e dei pensieri impliciti che le attivano. Ritenere che certi comportamenti siano spontanei e istintivi è un’idea che ostacola l’indagine introspettiva e impedisce di conoscere meglio se stessi. Se penso che dietro un’emozione non ci sia nessun pensiero, perché farci attenzione?

Quindi i pensieri impliciti sono quelli che la mente produce in continuazione senza bisogno di uno sforzo volontario. Un pensiero implicito può essere riconoscere un colore senza bisogno di dirne il nome, considerare qualcuno simpatico senza aver mai deciso per quale ragione lo fosse o decidere di fermarsi a un semaforo rosso senza aver valutato i pro e i contro della propria decisione. I pensieri impliciti sono i protagonisti più frequenti della nostra vita mentale.

La psicoterapia dinamica

Storicamente la psicoterapia si divide in due categorie ampie, psicoterapia dinamica e psicoterapia cognitiva. La psicoterapia dinamica, di derivazione psicoanalitica, lavora principalmente sui pensieri impliciti per ottenere un cambiamento nell’esperienza emotiva. Per raggiungere questo scopo utilizza strumenti diversi a seconda della corrente di pensiero.

Gli psicoanalisti creano un setting che permetta indirettamente un dialogo quasi autonomo con la propria mente. I sistemici lavorano sulle relazioni familiari per indurre una riflessione indiretta sul proprio ruolo verso i familiari. I relazionali lavorano sul rapporto in terapia per suggerire indirettamente come un modo diverso di relazionarsi sia un traguardo possibile. Gli ipnotisti aiutano nella costruzione di esperienze che stimolano pensieri alternativi nonostante i propri. E, infine, chi lavora con le dinamiche di gruppo mira a una rieducazione indiretta tramite il confronto tra pari.

Non esiste un’unica modalità di intendere la psicoterapia dinamica. Questo orientamento ha una storia lunga ed è stato inteso in molti modi diversi a seconda degli autori. La psicoterapia dinamica può essere di grande utilità soprattutto nel caso in cui la persona non riconosca di avere un problema. Le procedure indirette della psicoterapia dinamica trovano la loro massima efficacia nei casi in cui il paziente non vuole o non riesce a lavorare su se stesso.

La psicoterapia cognitiva

La psicoterapia cognitiva, di derivazione comportamentista, lavora direttamente sui pensieri per ottenere un cambiamento nell’esperienza emotiva. Non deve stupire che in questo dinamica e cognitiva siano simili, i fondatori della psicoterapia cognitiva precedentemente erano dinamici. Quello che cambia è il ruolo attribuito ai pensieri. La psicoterapia dinamica tende a considerare limitato e inefficace il pensiero esplicito. La psicoterapia cognitiva ritiene il pensiero esplicito fondamentale per dialogare con se stessi e per esplorare i pensieri impliciti e comprendere come cognizioni e metacognizioni creino un vissuto emotivo complesso e sensato che solo quando viene visto da una prospettiva troppo parziale può sembrare irrazionale e incomprensibile. Se il ragionamento che innesca l’emozione sembra insensato, lo si sta guardando dal punto di vista sbagliato.

Lo psicoterapeuta cognitivo non è il detentore di tutte le risposte, ma piuttosto ricopre il ruolo del professionista con cui collaborare per fare ordine su un argomento importante a cui non è stato dato spazio in modo efficace. Siccome i pensieri impliciti sono meno accessibili alla coscienza, potenziare l’uso volontario della consapevolezza ed esplicitarli in terapia li rende meno impliciti, più “ascoltabili” e, di conseguenza, regolabili più volontariamente.

L’idea che la consapevolezza possa modificarsi è astratta e complicata. Provo a sintetizzarla con una metafora.

La metafora del motore

Regolare le emozioni è un processo simile ad imparare a saper riparare il motore di un’automobile.

immagine di vin diesel per rappresentare la metafora del motore

La metafora del motore

Se non ne conosco il funzionamento e non so come funzionano i pezzi che lo compongono, anche solo il pensiero di aprire il cofano può sembrare totalmente inutile. Potrebbe sembrare più opportuno chiamare un meccanico che ripari l’automobile al posto mio, senza la mia collaborazione. Molte persone potrebbero avere persino timore che, aprendo il cofano e toccando qualcosa possano fare più danni che altro. E poi, anche se il motore fa un fumo strano, potrei pensare di continuare a utilizzarlo finché dura, magari non si rompe.

Credenze simili a quelle appena descritte sono molto diffuse tra chi soffre di problemi psicologici.

Non conosco la mia difficoltà, non so come funziona né cosa la innesca. Provare a comprenderla più efficacemente mi sembra inutile perché non so da dove iniziare. Forse potrei contattare uno specialista che risolva il problema al posto mio, magari indirettamente con un farmaco, senza che io mi dedichi a ragionare sul problema. Meglio non pensarci, perché se ci penso potrei danneggiarmi ulteriormente e spesso quando ci provo alla fine sto peggio. E poi, forse non è davvero un problema così grave, posso tirare avanti senza risolvere il problema che magari si risolverà da solo.

Una mente che impara a fare manutenzione a se stessa

Quando in psicoterapia ci si allena all’esplorazione volontaria dei pensieri, si va contro queste credenze. La psicoterapia ha lo scopo di renderci “i meccanici di noi stessi”. Anche se non sappiamo e non vogliamo imparare a costruire un motore da zero, possiamo imparare a prenderci cura della nostra mente facendovi regolarmente manutenzione, sapendo dove guardare per capire se va tutto bene e risolvendo autonomamente le difficoltà emotive future.

Questo non significa non soffrire mai più, ma saper affrontare efficacemente le proprie sofferenze.

Guarire in psicoterapia cognitiva

In psicoterapia si impara a conoscere la propria difficoltà, a capire come funziona e quali pensieri innescano determinati vissuti emotivi. Il lavoro in studio è esplicito e guidato nella costruzione di zone di sviluppo prossimale, cercando di porsi sfide di difficoltà accessibile per educarsi secondo un percorso di crescita personale. Il professionista non risolve il problema al posto della persona perché ognuno è solo nella propria mente. La coscienza affronta la sfida di comprendere la propria mente e i suoi funzionamenti collaborando con una persona che, dall’esterno, fornisce informazioni su come provare a muoversi e con cui si confronta per decidere quale significato attribuire a quello che osserva.

Questo richiede coraggio, tempo e impegno personale.

Toccare pensieri dolorosi può essere emotivamente doloroso, ma le emozioni sono eventi naturali e transitori. Toccare pensieri dolorosi senza motivo può essere inutilmente doloroso, mentre toccarli per comprenderli serve a darsi la possibilità di pensarli in modo diverso. Farlo esplicitamente è il modo più efficace per aver chiaro sia il risultato, sia il modo in cui lo si è raggiunto. Infatti obiettivo della psicoterapia non è solo la risoluzione del problema, ma comprendere come lo si è risolto e come affrontare in modo efficace i successivi problemi emotivi che potrebbero presentarsi.

Dialogare con i pensieri

Imparare a dialogare con i pensieri è l’obiettivo centrale della psicoterapia cognitiva. Usare le cognizioni e le metacognizioni esplicite per conoscere, comprendere e regolare le cognizioni e le metacognizioni implicite è lo scopo del dialogo con i pensieri. I pensieri sono alla base delle emozioni che ne conseguono, quindi regolandoli si modifica il vissuto emotivo.

La psicoterapia è il contesto professionale più specifico per questo esercizio, ma il dialogo con i pensieri può essere allenato in molti modi.

Fuori da un contesto sanitario, ogni occasione è buona per dialogare con i propri pensieri. È possibile farlo sia da soli, sia in compagnia di altre persone. Quando non si sa bene cosa cercare, ci si può prendere del tempo per esplorare da soli i propri pensieri. Il dialogo con se stessi può essere fatto silenziosamente, ad alta voce o scrivendo. Per molte persone scrivere i propri pensieri è un’ottima occasione di dialogo.

Caro diario

immagine di un caro diario su cui scrivere i propri pensieriPrendere appunti quotidianamente su un diario è un buon modo per allenarsi a dialogare con se stessi. Non è necessario che qualcuno legga quanto è stato scritto, ma è utile scrivere come se qualcuno lo dovesse leggere. Cercare di rendersi comprensibili a un lettore implica lo sforzo di creare un pensiero dalla forma comprensibile. È possibile scrivere di tutto, di cosa è accaduto, di riflessioni astratte, di fatti inventati o di cosa potrebbe succedere.

La forma del pensiero è importante quasi quanto il suo contenuto. Dalla forma emergono metacognizioni che, spesso in modo implicito, influenzano il vissuto emotivo. È difficile rendersi conto della forma dei propri pensieri se non li si scrive o non li si condivide in terapia. Rileggere quello che scriviamo è un’ottima occasione per riguardare con attenzione il pensiero ponendo attenzione non solo al contenuto di cui si è scritto, ma anche al modo con cui lo stiamo affrontando.

Il pensiero è uno strumento meraviglioso per indagare se stessi e il mondo che ci circonda, ma richiede manutenzione. Non essere abituati ad ascoltare i propri pensieri e essere sempre “distratti” dal mondo che ci circonda rischia di far perdere di vista il nostro ruolo. Siamo i protagonisti delle nostre vicende e, in ogni caso, abbiamo sempre la possibilità di fare delle scelte. A volte possiamo scegliere cosa fare, mentre altre volte possiamo scegliere come pensare. Scegliere come pensare apre a nuove possibilità e, di conseguenza, anche a nuove possibilità di azione.

Ascolta i tuoi pensieri

Forse anche la lettura di questo articolo ha stimolato qualche pensiero. È possibile che ti sia fermato su qualche passaggio ed abbia espresso qualche pensiero in proposito. Ritorna a quei punti del testo ed ascolta i tuoi pensieri. Io ho scritto questo testo, tu vi hai aggiunto qualcosa che, invece, parla di te.

Buon ascolto.

Dr. Valerio Celletti