Scusate, mi viene da ridere.
Il ridere è alla base di innumerevoli interazioni umane. Ridiamo con gli amici e dei nemici, ridiamo dei successi e dei fallimenti. In questo articolo proviamo a distinguere tra ridere e deridere, parlando anche di bullismo e depressione. Un discorso inspirato da quei momenti in cui, scusate, mi viene da ridere.
Tra risate, derisioni, bullismo e depressione
Ridere è un modo complesso di esprimere le emozioni. Generalmente riuscire a cogliere un tratto comico su quello che accade è una risorsa importante. La risata celebra i successi ed alleggerisce i fallimenti, migliorando il benessere proprio e altrui. Ma ridere può essere anche offensivo. Deridere qualcuno è un tipico tentativo di offendere qualcuno dandogli del ridicolo, della persona di cui gli altri possono o devono ridere.
Spoiler, tutti siamo ridicoli.
Per capire come mai siamo tutti potenzialmente ridicoli, è opportuno capire meglio come funzioni il ridere.
L’emozione del ridere
Ridere è conseguenza di un processo emotivo spesso frainteso. I comici, le persone che fanno satira, chi è considerato divertente, sono persone che tendono ad essere percepite come portatrici di felicità. Stimolano le risate altrui e promuovono felicità nel mondo. Quindi pare comprensibile dedurre che ridere sia emotivamente collegato alla felicità. Ma non è necessariamente così.
Il sorriso tende ad essere l’espressione più classica dell’emozione della felicità. Ma ridere non equivale a sorridere. Ridere spesso è anche collegato alla felicità, al contatto con elementi desiderabili e bonari di condivisione ed affetto, ma l’emozione principale della risata è un’altra. La felicità rilassa il corpo e conduce a comportamenti distesi e piacevoli, mentre ridere è uno spasmo intenso di un corpo che perde il controllo e si muove quasi in autonomia. Le emozioni che portano a tensioni muscolari sono diverse da quelle che promuovono il rilassamento corporeo. Nello specifico, l’emozione principale sottesa al ridere è il disgusto.
Il disgusto è un’emozione fondamentale
Anche se in Italiano il termine disgusto spesso è considerato negativamente, il disgusto non è un’emozione negativa. Anzi, un sano e positivo rapporto con il disgusto è una risorsa matura che permette di interfacciarsi con elementi altrimenti poco integrati della propria esperienza. Gran parte delle considerazioni negative intorno al concetto di disgusto sono dovute al modo in cui questa emozione tende ad essere spesso fraintesa.
Infatti il disgusto è spesso considerato l’emozione prodotta dal contatto con quello che non piace, ma non è così. L’emozione del disgusto ruota intorno ad un processo automatico di valutazione delle incongruenze tra le informazioni in ingresso e le proprie aspettative sul mondo. In altre parole, ogni volta che la mente percepisce un pensiero incompatibile con le proprie aspettative, risponde con disgusto per preservare il proprio punto di vista e mantenere la coerenza interna.
Ridere è espressione di un momento di attivazione del disgusto. Qualcuno cammina e scivola su una buccia di banana. Mi sarei aspettato che avrebbe camminato come al solito e, invece, è volato per terra. Risate. Il comico spesso è l’espressione più basilare del disgusto. Comportamenti inconsueti che violano le aspettative del pubblico. Ma se si trattasse solo di disgusto, probabilmente la reazione non sarebbe di ridere ma di essere schifati. Il disgusto è l’emozione principale della risata, ma non avviene quasi mai da sola.
Sorpresa e disgusto
In molti casi la sequenza che innesca la risata è composta da sorpresa e disgusto. La sorpresa è l’emozione che si innesca alla percezione di uno stimolo nuovo ed originale. Quando si ride per una battuta comica, prima è percepito uno stimolo nuovo e sorprendente, poi si innesca uno spasmo tensivo conseguente l’incompatibilità con le proprie aspettative. È successo qualcosa di nuovo ed improbabile. È comico.
Tanto più il comico volge al satirico, tanto più il grado di sorpresa diminuisce ed aumenta il focus sul disgusto. Ridere delle notizie di cronaca o della corruzione dei politici è un processo fortemente incentrato sul disgusto. Si ride per questioni che toccano la morale in modi contraddittori, provocando confusione tra ciò che si vorrebbe fosse il mondo e ciò che invece è. Aspettative e realtà.
Perché sia efficace, è utile che la persona che si occupa di satira riesca sempre a condire il proprio spettacolo con qualcosa di sorprendente. Un ragionamento brillante, una similitudine alla portata del pubblico, una voce grottescamente elaborata. Tutto per sorprendere e per avvolgere in una sottile ma importante dichiarazione di comunità e presa di distanza. Loro sono quelli ridicoli, noi, invece, siamo quelli che condividono l’idea che loro non siano come dovrebbero essere. E qui fa capolino la felicità. L’abbraccio avvolgente di chi si sente parte di un gruppo e si sente felice di condividere valori e posizioni. Ridere insieme unisce le persone o fa sentire parte di un gruppo anche se si ride da soli. In questo senso, ridere ha un forte ruolo identitario.
Ridere o deridere?
Ridere e deridere qualcuno sono processi molto vicini. Spesso distinguiamo i due processi per le intenzioni sottostanti. Ridere bonariamente consiste nel trovare sì ridicolo qualcuno, ma giudicando il comportamento senza criticare la persona. Ridere di chi scivola su una buccia di banana può essere bonario se implica affetto, preoccupazione per il benessere dell’altro e la ragionevole considerazione che chiunque possa scivolare su una buccia di banana. Diversamente è derisione se l’aspettativa violata non è “quando si cammina di solito non si scivola” ma piuttosto è “non si dovrebbe essere così stupidi, sfortunati, goffi o incapaci”. Un giudizio sulla persona volge ad emarginarla, segnando un solco tra sé e l’altra persona. Nella opinabile convinzione che non si potrebbe essere mai come quella persona.
La maggior parte delle persone, di solito, ridono più che deridere. Infatti anche se la satira mette in luce i difetti di alcuni personaggi pubblici, essere oggetti di satira solitamente aumenta la popolarità delle vittime. Si ride di personaggi che si comportano in modo disonesto, razzista, opportunista, ma alla fine buona parte del pubblico li salva considerandoli nella loro vulnerabilità e fragilità. Siamo tutti ridicoli nei nostri difetti e nelle nostre sfortune.
Il bullismo
Quello in cui, invece, viene deriso l’altro prendendone le distanze è un processo ostile. La convinzione che le persone sia costituzionalmente diverse e che alcune siano migliori o peggiori di altre è un tipico errore di valutazione adolescenziale. In tale ambito, infatti, nel tentativo di costruire una propria visione di sé e del mondo le persone tendono a cercare di definirsi finendo anche per definire gli altri. Tanto più hanno difficoltà a definirsi in modo credibile, tanto più credono sia fondamentale definire solchi fondamentali. Per questo motivo tra gli adolescenti spesso è frequente deridere gli altri. Chi sente di dover dimostrare la propria identità finisce per trovare ridicoli tutti coloro che vivono secondo regole diverse o ponendo attenzione a priorità diverse.
Il bullismo è un processo basato sul deridere qualcuno escludendolo dal gruppo nella convinzione sia diverso da come dovrebbe essere. Con questo processo i bulli affermano sia la propria identità, sia la propria convinzione di sapere come funzioni il mondo. In realtà non lo sanno, né si rendono conto che loro stessi sono ridicoli come tutti gli altri. Ma come in tante altre situazioni, solitamente chi prende l’iniziativa tende ad essere avvantaggiato. Per questo il bullismo tende ad essere messo in pratica da chi è iperattivo, confusionario, rumoroso. Chi non sa controllare efficacemente la propria rabbia tende a prendere l’iniziativa provocando situazioni ridicole che favoriscono la creazione di un gruppo.
Gli abbigliamenti ricercati, i tagli di capelli inspirati agli influencer, il modo di parlare copiato da chi viene ritenuto forte, autorevole e di successo nella vita, sono tutte modalità per cercare, disperatamente, di non essere ridicoli. Il tentativo è di avvicinarsi il più possibile ad un’aspettativa personale. Tanto più è rigida l’aspettativa, tanto più intenso è il disgusto, tanto più disperato è lo sforzo per sembrare all’altezza, tanto maggiore è la risata.
Serio o divertito?
I latini dicevano “il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi”. Questo punto di vista può essere inteso come un invito alla serietà, giudicando negativo il piacere del ridere. Ma ridere non è sempre negativo, ed essere seri non è sempre necessario.
Saper ridere senza deridere gli altri è possibile. Come è altrettanto possibile essere professionali e competenti ridendo ogni tanto. L’importante è “non abbondare” di risate e ricordarsi, per quanto possibile, di ridere di ciò che accade, non di ciò che si è. Saper comunicare al proprio interlocutore che si prova disgusto per un comportamento ma non per la persona che lo ha messo in pratica è una differenza abissale che modifica completamente il senso di una risata. Diversamente non ridere per non rischiare di risultare ostili è un tentativo comprensibile, ma finisce per creare comunque distacco e ostilità. Tutti ridono e tutti sono ridicoli. In particolare, chi è sempre serio è abbastanza ridicolo.
I professori che non sanno ridere sono ridicoli. Come chi vuole essere autorevole senza avere davvero una leva per esercitare autorità può risultare tremendamente ridicolo. In questo senso, alcune persone a volte dicono “scusate, mi viene da ridere” anche in contesti in cui gli risulta sconveniente ridere. In quel momento la persona può essere anche pienamente consapevole di cosa è conveniente esprimere, ma non riesce a trattenersi dal considerare ridicolo che qualcuno non si renda conto di quello che a lui risulta evidente dal proprio punto di vista. Non essere allineati nella visione del mondo crea uno scenario profondamente ridicolo, in quanto profondamente disgustoso e sorprendente. Tanto più l’interlocutore non si rende conto del disallineamento, tanto più è sorprendentemente ridicolo.
Far ridere è stressante
Conoscere almeno in parte i meccanismi del ridere è importante per chiunque lavori a contatto con le persone. Le persone ridono e deridono, e non sapere cosa è ridicolo può renderci facilmente più ridicoli di quanto già non siamo. Non solo essere disgustosi secondo le aspettative altrui, ma essere sorprendentemente disgustosi rende difficile collaborare efficacemente e danneggia profondamente la stima altrui.
Detto questo, far ridere intenzionalmente è un mestiere complesso e stressante. Chi si pone nei panni del comico o di chi vuole far ridere il prossimo si espone ad un profondo rischio di stress ed esaurimento. Infatti una volta acquisita popolarità come portatore di felicità, il comico per lavoro si sforza di mettere in luce le contraddizioni quotidiane facendo leva sul proprio sentimento del disgusto e della propria arte oratoria per intrattenere e sorprendere gli altri. Ma la sorpresa è un’emozione che tende a spegnersi rapidamente. La battuta nuova, comica o satirica che sia, può far ridere persone nuove, ma ripeterla pone l’autore nell’ingrato compito di rivivere in modo più o meno consapevole il disgusto della propria battuta. Scompare la sorpresa, rimane la felicità di portare gioia e di sentirsi parte di un gruppo, ma il disgusto, se non gestito, può aggravarsi e peggiorare nel tempo.
Questo processo è alla base di ciò che può causare depressione in molte persone del mondo dell’intrattenimento. Si parte divertiti di divertire, si torna depressi dal disgusto verso le contraddizioni dell’esperienza umana. Molti comici, anche se animati dalle migliori intenzioni, se non gestiscono la propria emotività negli anni diventano vittime delle proprie battute. Isolati in un gruppo di persone serie che fanno ridere per lavoro. Bulli di un pubblico che gli paga le bollette; vittime delle loro potenziali vittime.
Chiedere aiuto è il primo passo per migliorare.
Scaletta del video Scusate mi viene da ridere – Valerio Celletti