Riassunto

Il pensiero patriarcale è un'esperienza liminale su cui è utile lavorino tutti

Patriarcato, un problema di violenza, disparità e competizione.

Il concetto di patriarcato esiste da secoli, ma recentemente è diventato protagonista del dibattito quotidiano. Nella cronaca attuale è frequente che il comportamento criminale o eticamente discutibile di alcune persone venga ricondotto all’influenza del patriarcato, considerato origine e causa di tali comportamenti.

Spesso il patriarcato viene utilizzato per descrivere comportamenti messi in atto da persone di sesso maschile, ma occasionalmente è utilizzato anche per spiegare le azioni di persone di sesso femminile.

Questo argomento, fondamentale e importante, è ampiamente fraintendibile e spesso affrontato in modo controproducente. Proviamo a chiarire alcuni aspetti.

Patriarcato, un problema di violenza, disparità e competizione - Valerio Celletti

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Cos’è il patriarcato in breve

Il patriarcato, per come è inteso nel dibattito moderno, riguarda il modo in cui la società tende a distribuire il potere a favore di persone di sesso maschile, estromettendo sistematicamente le persone di sesso femminile dalla possibilità di controllare il potere nella società.

Tale effetto non è concettualizzato come la conseguenza di un’alleanza silenziosa tra persone di sesso maschile che, attivamente ed esplicitamente, complottano ai danni delle persone di sesso femminile. Piuttosto, il patriarcato è considerato come la personificazione di un insieme di valori stereotipati che descrivono positivamente la mascolinità e negativamente la femminilità, favorendo e alimentando ragionamenti e comportamenti tossici di cui possono essere vittime tutti, indipendentemente dal genere.

Infatti, in breve, il termine “patriarcato” nasce in una società in cui il potere è detenuto dal pater familias, il padre di famiglia, che aveva come ruolo la gestione del patrimonio, termine che identifica il pater-munus, il compito del padre. Storicamente il concetto di patriarcato è intimamente collegato all’idea del ruolo maschile nella società come unico detentore del potere economico.

Questo concetto è fortunatamente anacronistico per molte realtà familiari, ma non per tutte. Le realtà culturalmente più arretrate aderiscono ancora a una visione stereotipata del mondo che rende tutt’oggi importante ribadire quanto sia fondamentale superare determinati stereotipi.

Ad oggi, invece, il termine patriarcato ha profondamente senso nel porre l’accento sul problema di distribuzione sbilanciata del potere e nel modo in cui questa asimmetria è stata arginata su alcuni aspetti e completamente ignorata su altri.

Chi è vittima del patriarcato?

Le conseguenze della mentalità tossica del patriarcato sono evidenti nei comportamenti tossici o violenti perpetrati da maschi e femmine contro le persone di sesso femminile per il loro essere femmine o all’interno dei comportamenti autolesionistici più o meno evidenti che vengono messi in atto per cercare di aderire al loro ruolo femminile; come sono evidenti nel modo in cui le persone di sesso maschile e femminile mettono in pratica comportamenti tossici o violenti verso persone di sesso maschile per il loro essere maschi o all’interno dei comportamenti autolesionistici più o meno evidenti che vengono messi in atto per cercare di aderire al loro essere maschi.

Violenze, stupri, molestie, bullismo, machismo, umiliazioni, manipolazioni, tradimenti, suicidi, insensibilità, aspettative e disumanità. Non comprendere la limitatezza degli stereotipi di genere può portare a credere a idee che possono alimentare ragionamenti tossici che possono danneggiare l’interazione tra persone a innumerevoli livelli.

Come risolvere il problema del patriarcato?

La via per il superamento dei problemi prodotti dalla logica patriarcale (intesa come disparità e asimmetria tra stereotipi maschili e femminili) non è la lotta a persone che sembrano personificare il patriarcato, ma la cura e l’educazione all’interazione tra persone al di là di una logica di genere.

Chi personifica il patriarcato può commettere azioni riprovevoli di cui essere giudicato e ragionevolmente condannato, ma è anch’egli vittima di un modo di ragionare che ha applicato prima di tutto alla propria persona. Le conseguenze individuali del patriarcato sono gravi e tendenzialmente invisibili agli occhi di un mondo che condivide la stessa prospettiva stereotipata.

Distinguere tra lotta alla disparità e lotta tra generi è fondamentale, perché una comunicazione che insiste sul tema del genere espone al pericolo di creare una ulteriore divisione su un argomento che, invece, può trarre solo benefici dal coinvolgere il maggior numero di persone possibile. Coinvolgere persone sia maschi sia femmine, e coinvolgere sia persone sufficientemente contemporanee da non credere profondamente negli stereotipi di genere sia persone che aderiscono ad un modello culturale più tradizionale e credono alla fondamentale distinzione tra personalità maschili e femminili.

Una comunicazione divisiva è una comunicazione non inclusiva che boicotta il suo stesso obiettivo. Invece, una comunicazione inclusiva è sia in linea con i valori che desidera promuovere, sia maggiormente efficace per il perseguimento del proprio obiettivo.

Personificare il patriarcato è una sintesi pericolosa

Personificare il patriarcato nel maschile è una semplificazione comprensibile, ma errata e altrettanto pericolosa. Dare sostanza al patriarcato personificandolo nel genere maschile nasce dal tentativo di spiegare in modo semplice la complessità di comportamenti violenti e criminali ricercando un singolo colpevole. “Se un maschio si comporta in modo violento verso una femmina, è probabile sia effetto del suo istinto patriarcale e della sua educazione patriarcale”. Tale ragionamento si basa su una stereotipia del maschile. “I maschi sono tutti uguali”, “I maschi fanno cose da maschi”, “I maschi sono educati tutti allo stesso modo”. Ragionamenti sintetici e intrisi della logica tossica e stereotipata del patriarcato che desiderano risolvere.

Diverso, invece, è sostenere che “se una persona si comporta in modo violento verso un’altra persona per una sua caratteristica, è probabile sia effetto della sua competenza relazionale e del suo essere stato educato a considerare quella caratteristica come bersaglio compatibile di un comportamento violento”.

Slogan politici e dibattito sociale

È difficile sposare le necessità di una comunicazione sintetica e divulgativa con la complessità del ragionare sul modo in cui una persona può arrivare a mettere in atto comportamenti più o meno efferati. Il patriarcato è citato raramente all’interno di riflessioni di ampio respiro sul modo tossico con cui la società alimenta una competizione sfrenata e sregolata che porta all’esasperazione l’interazione sociale favorendo la possibilità che chi è maggiormente in difficoltà possa arrivare a considerare la violenza una soluzione accettabile alla risoluzione dei conflitti personali e interpersonali. Tale riflessione richiede l’apertura e lo svolgimento di troppe parentesi, finendo per essere poco sintetizzabile in uno slogan realmente efficace per la comunicazione.

Promuovere ragionamenti divisivi e ostili verso chi sembra personificare un modo stereotipato e tossico di ragionare sui sessi è un modo pericoloso di prendersi cura del problema. Tale soluzione nasce nell’attivismo politico, contesti dove ci si propone di migliorare la società facendo rumore e non curandosi delle conseguenze negative a breve termine nella speranza che i benefici a lungo termine ne varranno la pena. È la logica della lotta sociale; dello sciopero in cui si rinuncia allo stipendio di un giorno nella speranza di avere un salario più dignitoso in futuro.

Questo meccanismo è stato vitale per il miglioramento di alcuni aspetti fondamentali della civiltà.

Migliorare la società è diverso da fare la guerra a parte della società

In questo caso, però, quello che è in gioco non è lo stipendio di qualcuno, ma la vita di qualcuno. C’è chi rischia di vivere con la paura di essere sé stessi perché convinti di essere intrinsecamente sbagliati o di interagire con chi si percepisce diversi da sé, finendo per essere sempre più in difficoltà nell’interazione sociale.

Sollevare problemi senza proporre soluzioni efficaci può avere conseguenze gravi. Chi è senza strumenti efficaci per partecipare all’interazione sociale, privato di alcune sicurezze e non instradato su modalità più sane ed efficaci di interagire, rischia di radicalizzarsi nelle precedenti convinzioni o disperarsi nella mancanza di nuovi strumenti. E le persone disperate sono proprio quelle che commettono gli errori peggiori.

Un attivista profondamente motivato potrebbe sostenere che quando c’è da fare la rivoluzione c’è sempre in gioco la vita di qualcuno, ma credo che questa sia una semplificazione che può sembrare ragionevole solo a una persona almeno in parte disperata. E, citando le righe precedentemente scritte, le persone disperate sono quelle che commettono gli errori peggiori. La posta in gioco non è sempre la stessa.

Il ragionamento di chi è intriso di una cultura patriarcale è formalmente molto simile a quello di chi arriva a giustificare i comportamenti fisicamente o verbalmente violenti come strumenti efficaci per riequilibrare il divario di potere esistente nella società. La soluzione non è rendere violente le vittime, ma, piuttosto rendere protagoniste le persone in difficoltà. Non è la stessa cosa.

Costituzione e violenza

La violenza è un problema sociale da curare ed una sfida sociale da abbracciare e regolamentare. Questo argomento è antico quanto la socialità. Nel 1948, a seguito delle tragedie accadute nel conflitto mondiale, lo Stato Italiano ha preso posizione in merito nell’articolo 11 della propria costituzione.

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Estratto dal respiro internazionale e riportato al quotidiano, l’articolo 11 della costituzione Italiana potrebbe suggerire un messaggio utile. In Italia la violenza è ripudiata come strumento di offesa alla libertà altrui e come mezzo di risoluzione delle controversie relazionali. In Italia è richiesto, a parità di condizioni tra persone, di limitare la propria libertà a tutela della pace e della giustizia tra persone. In Italia sono da promuovere le iniziative volte alla gestione delle controversie relazionali con strumenti alternativi alla violenza per la promozione di pace e giustizia tra persone, tenendo in considerazione le disparità di condizione delle persone coinvolte.

In condizioni di parità

La costituzione scrive “in condizioni di parità con gli altri Stati”, sottolineando quanto la disparità di potere tra individui, siano essi stati o persone, è un tema fondamentale. Il patriarcato è questo: una logica in cui il padre di famiglia ha il compito di occuparsi del patrimonio ed è al vertice asimmetrico di una famiglia che vede tutti i membri, partner e figli, in condizione di inferiorità.

Combattere il patriarcato significa combattere una logica che consideri il maschile come portatore di competenze utili ad occuparsi delle risorse e il femminile come carente delle competenze utili a occuparsi delle risorse. Non si tratta di combattere il maschile o il femminile, ma di promuovere la parità tra le persone a prescindere dalle logiche di genere.

Educazione alla competizione

Credo che produrre il cambiamento sociale utile a superare le disparità di genere sia possibile solo agendo sull’educazione all’interazione e alla competizione, creando un modo civile e equo con cui le persone possano pensare alla competizione e tenendo in considerazione che la competizione, per definizione, è un argomento che è intrinsecamente ingiusto.

Ne sono una dimostrazione gli ambiti sportivi dove genetica, cultura e la possibilità di dedicarsi all’allenamento creano risultati profondamente diversi da persona a persona. Nello sport è possibile cercare di regolamentare alcuni parametri per rendere il più equa possibile la competizione. Età, peso, strumenti meccanici e chimici possono essere osservati e regolamentati con un lavoro costante di aggiornamento e controllo.

Un lavoro simile è difficilmente realizzabile in modo soddisfacente nella complessità delle interazioni umane. Non è possibile entrare nel merito di tutte le possibili caratteristiche in gioco in tutte le interazioni relazionali, né controllare se e come vengono utilizzate nel privato. Piuttosto, è possibile iniziare a promuovere alcuni concetti fondamentali promuovendo una cultura che li renda così fondanti da rendere tutti consapevoli di cosa è giusto e cosa non lo è.

Scegliere i valori della competizione

Scegliere dei concetti fondanti per guidare l’educazione alla competizione non è semplice. Per ogni valore promosso, c’è sempre un contrappeso che divide le persone.

Il rispetto, per esempio, è un concetto ragionevole. Eppure promuovere il rispetto può diventare rapidamente impugnabile nel definire chi debba rispettare chi e per quale motivo, innescando numerose interpretazioni su cosa significhi e rendendo l’argomento così opinabile da rendere, a volte, seducente la mancanza di rispetto e il comportamento non educato.

Non è possibile prevedere il numero di contesti in cui viene applicato un valore. I contesti pubblici sono i più semplici da prevedere e i più facili da normare. Il privato, invece, assume innumerevoli sfumature uniche. La violenza può esistere in ogni contesto, ma la violenza emerge soprattutto nel privato dell’intimità delle famiglie, delle coppie e dei piccoli gruppi.

Ognuno sceglie la propria scala valoriale, ed è impossibile e controproducente forzare l’adozione di alcuni valori. È possibile promuoverne alcuni, ma insistere eccessivamente provoca l’effetto opposto a quello desiderato.

Educazione all’emotività

Forse è impossibile affrontare in modo meccanico la sfida di normare il privato. Quindi, piuttosto, potrebbe essere utile promuovere i meccanismi di autoregolazione naturali che esistono in natura. Le emozioni. La vita emotiva non risolve i conflitti, ma permette di comprendere in modo più chiaro i gusti, gli obiettivi e i confini che possono esistere nelle persone coinvolte nell’interazione.

Essere emotivamente più competenti non serve a provare empatia verso il prossimo e non agire comportamenti violenti o nello sperare che gli altri siano compassionevoli verso la propria emotività e scelgano di risparmiare la persona emotiva. Piuttosto, le emozioni offrono informazioni utili per comprendere meglio i propri desideri, le proprie mancanze, quello che si vorrebbe cambiare, quello che si ritiene pericoloso, le incoerenze delle proprie aspettative e quello che si ritiene nuovo. Le emozioni si offrono informazioni utili solo nella conoscenza di sé e delle proprie opinioni.

Una buona competenza emotiva è fondamentale perché le persone possano rendersi conto in modo il più realistico possibile della propria condizione. Perché il conflitto sia giusto, è necessario partire da una condizione di parità. Comprendere sé stessi offre l’occasione di capire in cosa consista la propria personale e unica disparità nei confronti degli altri e l’occasione per cercare di colmarla in modo esplicito, ragionevole e civile. Questi ingredienti permettono di avere accesso ad un ruolo da protagonista nella propria narrazione, invece che di considerarsi spettatori passivi e, inevitabilmente, vittime.

La competenza emotiva non risolve il patriarcato, ma pone le basi per il suo superamento

La competenza emotiva non elimina la violenza e la disparità tra le persone, ma offre gli strumenti per avere idea su cosa impegnarsi per migliorare la propria condizione così da partecipare in modo più sano alla competizione. La disperazione è una delle cause principali della violenza, e una delle cause principali della disperazione è l’incapacità di leggere correttamente il problema a cui non si trova soluzione. La competenza emotiva aiuta a leggere il problema in modo che la soluzione risulti più accessibile.

Non credo esista una soluzione meccanica per il superamento del problema del patriarcato. Riequilibrare il potere nella popolazione non è possibile grazie alla semplice istituzione di quote protette o all’aggravamento delle pene per determinati reati. Tali iniziative hanno senso, ma sono un tentativo di normare il privato che non raggiunge le persone che sono più propense a commettere tali crimini. Entro certi limiti, favorire chi è in difficoltà rischia di legittimare il ragionamento già distorto di chi pensa di essere legittimato a farsi giustizia da solo tramite la violenza. È importante che la legge e le pene abbiano anche la funzione di deterrente, ma alcuni reati sono commessi da persone che pensano di non aver nulla da perdere. Persone disperate che diventano pericolose per sé stesse e per la società.

Chi educa all’emotività?

Lavorare sull’educazione emotiva è un impegno fondamentale che, invece, credo modificherebbe profondamente numerosi meccanismi. Tale iniziativa, però, si scontra con un problema a monte. Chi ha la competenza emotiva per educare alla competenza emotiva? Mi piacerebbe incensare la categoria degli psicologi a detentori di tale competenza, ma devo purtroppo ammettere che nel mio percorso universitario da psicologo non ho ricevuto nessuna educazione formale all’emotività.

Anche perché l’educazione non è materia della facoltà di psicologia. Gli educatori sono professionisti con una formazione specifica alla pedagogia e alla divulgazione. In questo momento, consultando il sito dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, sia il corso di triennale di scienze dell’educazione sia il corso magistrale di scienze pedagogiche non prevedono un corso intitolato “educazione all’emotività”.

Recuperare questo argomento potrebbe essere di utilità sia per i professionisti, sia per avere le persone che possano svolgere il ruolo di educare la popolazione a un’emotività più sana che permetta di superare concretamente le disparità presenti nella cultura patriarcale.

Dr. Valerio Celletti

Patriarcato, un problema di violenza, disparità e competizione