Il rischio psicologico dei pensieri infamanti
Segnalare un comportamento problematico senza cedere a pensieri infamanti può essere difficile. Dire tutto quello che viene spontaneo pensare o credere a tutto quello che viene in mente può essere controproducente. Esistono rischi per le persone accusate, ma esistono anche rischi psicologici per la vittima che, se non usa del metodo, rischia di perdere obiettività, prendere decisioni controproducenti o prolungare la propria sofferenza più dello stretto necessario.
Il superamento del victim blaming
I comportamenti scorretti, disonesti, intolleranti, razzisti e violenti sono sempre accaduti. In passato purtroppo era frequente che la vittima di un sopruso si trovasse in difficoltà per aver segnalato un torto. La vittima denunciava un fatto e correva il rischio di essere accusata di averlo causato. Per esempio è accaduto di frequente che una persona subisse una violenza sessuale e fosse accusata di aver causato la propria aggressione vestendosi in modo ritenuto provocatorio. Queste accuse sono generalmente etichettate come victim blaming (colpevolizzazione della vittima). Oggi il comportamento di colpevolizzare la vittima è ritenuto poco credibile presso le sedi giudiziarie occidentali e trova sempre meno spazio all’interno del dibattito pubblico.
La maggior diffusione di cultura nei diritti civili ha contribuito a tutelare chi denuncia e permette di dare voce a innumerevoli vittime di discriminazione. Poter accedere con maggiore libertà al diritto di segnalare un comportamento scorretto è un traguardo fondamentale da difendere. Come accade spesso, però, ogni conquista apre a nuove complessità da provare a prevedere e gestire per evitare di mettere in dubbio i diritti acquisiti. Di conseguenza, emerge così un problema che è sempre esistito ma che oggi assume una dimensione più ampia. Come segnalare un comportamento problematico evitando di correre il rischio che usufruire di un diritto possa diventare strumento di aggressione? Come limitare il rischio che la vittima possa diventare carnefice o che la vittima possa danneggiarsi a sua insaputa?
Ricostruire i fatti ed esprimere opinioni legittime
Per iniziare questa riflessione è utile partire da una breve spiegazione di come segnalare correttamente un comportamento problematico. Nel segnalare un comportamento problematico è importante distinguere tra fatti, opinioni legittime ed accuse infamanti.
Infatti per segnalare un comportamento o una situazione ritenuta scorretta è importante iniziare raccontando i fatti. È suggeribile iniziare contestualizzando gli eventi nel tempo e nello spazio, dicendo quando e dove è accaduto il problema. Una volta offerta una descrizione esaustiva dei fatti è opportuno spiegare la propria opinione. Nel dire in modo legittimo cosa si pensa è importante parlare di sé stessi dicendo cosa si è pensato, quali emozioni si sono provate e come ci si è comportati. Parlare di sé stessi è legittimo ed ha un ruolo importante nel trasmettere la propria opinione in merito la propria segnalazione. È possibile dire che si considera problematico un comportamento perché si pensa che, per esempio, violi una libertà, abbia prodotto un danno, esponga a un pericolo o offende favorendo un punto di vista che promuove emozioni dolorose.
È opportuno riflettere sulla base della propria ricostruzione dei fatti e del proprio vissuto per decidere come affrontare il problema. Provare a modificarlo, evitarlo o tollerarlo. È possibile arrivare a una risoluzione soddisfacente del problema senza cadere nell’errore di muovere accuse infamanti.
Cos’è un’accusa infamante?
Infamare significa danneggiare la reputazione di qualcuno. È chiaro e comprensibile che la vittima di un comportamento altrui abbia un’opinione negativa di chi l’ha danneggiata, ma questo non autorizza a muovere accuse infamanti. Per favorire un ragionamento con un esempio evidente, è diverso affermare che qualcuno ha dato un pugno (evento), dire che ricevere un pugno è stato doloroso e spaventoso, minando la fiducia negli altri e nelle proprie capacità (opinione) dall’affermare che qualcuno sia violento, pericoloso e criminale (accusa infamante).
È probabile che la reputazione altrui possa essere danneggiata dal sapere che ha colpito una persona con un pugno o dal rendere noto quanto abbia indotto paura in un’altra persona, ma queste conseguenze non sono esplicitamente infamanti. C’è chi avrà un’opinione più tollerante del fatto o lo giustificherà inserendolo in un contesto permissivo. Per alcune persone venire a conoscenza del fatto potrebbe essere motivo di stima. Diversamente l’accusa infamante prende delle conclusioni personali e le eleva ad accusa infondata.
Affermare che una persona sia violenta, pericolosa o criminale è un processo complesso che non può ridursi alla descrizione di un evento. La giurisprudenza si impegna da secoli nel tentativo di trarre giudizi efficaci su eventi quasi sempre opinabili che vedono raramente tutti soddisfatti. Le accuse infamanti possono danneggiare un innocente che si vede condannato senza un giusto processo, ma possono danneggiare anche la vittima.
Il rischio psicologico dei pensieri infamanti
Esistono molte possibili riflessioni in merito le possibili conseguenze del subire un’accusa infamante. Ma in questa occasione desidero portare l’attenzione sulle possibili conseguenze emotive per chi muove un’accusa infamante. Infatti chi non si limita ad esporre i fatti o opinioni può incorrere in conseguenze legali (diffamazione) o psicologiche.
Le conseguenze psicologiche del muovere un’accusa infamante possono essere principalmente tre.
- È possibile che essere convinti di un pensiero infamante possa danneggiare la propria obiettività. Infatti l’idea che il problema non risieda in un evento più o meno ripetuto ma in una condizione stabile può favorire un’estremizzazione del proprio punto di vista producendo deduzioni di cui essere poco consapevoli. Potrebbe capitare di pensare che una persona che attraversi la strada senza rispettare il semaforo sia erroneamente considerabile immorale, violenta o arrogante senza sentire il bisogno di argomentare le proprie conclusioni.
- Essere convinti di avere a che fare con una persona definita da una caratteristica evidentemente negativa può indurre a pensare che sia ragionevole agire nei suoi confronti senza rispettare le regole civili. Tra i manifestanti per cause condivisibili capita che alcune persone agiscano contro la legge nella convinzione di lottare non solo per la risoluzione di un problema, ma per l’eradicazione di un avversario strutturalmente portatore di valori negativi. L’altro diventa solo un nemico su cui vendicarsi.
- Infine pensare che il problema sia ancorato a caratteristiche strutturali rende difficile distinguere tra danno e colpa. La mancata distinzione tra questi elementi complica il possibile perdono e condanna la vittima a convivere con le eventuali conseguenze emotive del torto subito. In psicologia il perdono tende ad essere considerato una modalità efficace per promuovere il benessere della vittima, favorendo il processo di emancipazione da un evento subito.
Rinforzare la vittima
Quindi il modo di pensare infamante può ripercuotersi in modo negativo sulla vittima che può perdere obiettività, arrivare a comportamenti vendicativi eccessivi e rimanere invischiata in sentimenti che rendono difficile proseguire anche con il resto della propria vita.
Rinforzare la vittima di un comportamento problematico è un processo che richiede un’elaborazione efficace dell’evento. La vittima trae beneficio dall’imparare a pensare l’evento in modo contemporaneamente formale e personale. Così da riuscire a formulare un approccio sano e partecipato a un evento doloroso che può aver imposto una modifica delle fondamenta del suo modo di pensare sé stessa e il mondo. Partecipando attivamente ai propri vissuti emotivi è possibile superare gli eventi traumatici rendendoli, per quanto possibile, esclusivamente brutti ricordi.