Riassunto

52° appuntamento della rubrica "il sessuologo risponde". Perché sono omofobo?

Perché sono omofobo? Il sessuologo risponde #52


Chiedersi “perché sono omofobo?” è una domanda preziosa. Spesso ci si interroga solo quando si è vittime, ma può essere importante per tutti.


Perché sono omofobo? Il sessuologo risponde #52 - Valerio Celletti

Domanda

Gentile dottore, le scrivo per chiedere delucidazioni su un problema che non capisco. Sono una persona adulta, mi ritengo progressista, aperto, e non credo di avere particolari bigottismi o ostilità verso le persone con gusti o stili di vita diversi dai miei.

Però penso di avere reazioni omofobe. Ho reazioni quando vedo 2 uomini baciarsi, non per tutto il tempo, ma solo inizialmente. Oppure quando vedo un uomo vestito in modo femminile. Reazioni, nulla di eclatante. Credo che fuori non traspaia neanche nulla. Però mi accorgo che in me suscitano qualcosa che forse non dovrei. Gli pongo attenzione, mi dà un certo grado di fastidio. Alla fine, mi scocciano un po’.

Eppure so che non mi hanno fatto niente e sono a favore della libertà di ognuno. Però, quindi, perché sono omofobo?

Risposta di Valerio Celletti

Gentile lettore, la ringrazio per la sua domanda che solleva un tema interessante e complicato.

Spesso le persone tendono a non interrogarsi in merito la propria omofobia. Generalmente è un tema a cui si interessa più chi subisce discriminazioni o aggressioni, micro o macroscopiche che siano. Questa differenza a volte è attribuita a diverse sensibilità, ma più frequentemente è solo conseguenza di posizioni diverse.

La lingua batte dove il dente duole

Il dolore è uno dei segnali più evidenti e semplici che la natura ha creato per sottolineare i problemi. Chi è omofobo non vive il dolore della discriminazione. Probabilmente avrà altre difficoltà e situazioni in cui si sente svalutato e sminuito, come quasi tutti, ma non si accorgerà della propria omofobia. Chi subisce discriminazioni, invece, tende a soffrirne e quindi a porvi attenzione.

Forse il fatto che lei si sia accorto di un tratto personale almeno lievemente omofobo significa che un po’ lo è; ma significa anche che almeno lei ha avuto la sensibilità e consapevolezza per accorgersene a differenza delle numerose persone che non se ne accorgono e, soprattutto, non ci pongono attenzione.

Cos’è l’omofobia?

Un comportamento omofobo è un comportamento ostile nei confronti di contenuti Queer nel senso più esteso del termine. Quindi una persona che ha spesso comportamenti omofobi probabilmente crede ad idee tendenzialmente omofobe. Cambiare punto di vista permette di avere accesso a comportamenti più virtuosi.

Spesso il termine omofobia è inteso come paura dell’omosessualità, ma è una traduzione poco efficace. Nell’omofobia l’emozione della paura ha un ruolo importante, ma l’emozione centrale e più problematica è quella del disgusto.

Il ruolo del disgusto nell’omofobia

Generalmente le persone tendono ad essere abbastanza consapevoli dei pericoli a cui sono esposte per cui provano paura. Di conseguenza tendono a ragionarvi molto, a volte in modo inefficace ed eccessivo, ma lo fanno per provare a controllare qualcosa che riconoscono. Diversamente è naturale non dedicare tempo agli argomenti che disgustano.

Il disgusto è il prodotto di un processo automatico di valutazione di incompatibilità con le proprie aspettative, risolvibile modificando le proprie idee o ignorando la realtà sorvolando sulle incongruenze. Se non motivati, tutti scelgono quasi sempre la seconda opzione.

L’omofobia interiorizzata

Quindi il momento in cui ci si accorge di provare paura, rabbia o disgusto per un contenuto queer è rappresentativo di un tratto personale probabilmente almeno in parte omofobo. Quando il contenuto queer è personale, le emozioni citate sono rivolte verso sé stessi. La paura tende a diventare l’emozione più evidente. Questo processo di omofobia verso sé stessi è chiamato “omofobia interiorizzata”, cioè la paura di scoprirsi omosessuale (inteso nel senso erroneamente esteso di non eterosessuale o non cisgender) perché tale scoperta comporterebbe il rischio di dover mettere in discussione le proprie idee su sé, sul proprio futuro e sul mondo.

L’incompatibilità con le aspettative porta al disgusto. Il disgusto spinge all’indifferenza. Ma il fatto di essere interessato in prima persona provoca dolore, attenzione, paura e ragionamenti lunghi ed inefficaci.

Chiedere aiuto

Cercare supporto può essere vitale per dirimere il problema. Un punto di vista esterno ed esperto può fare largamente la differenza nel dirimere il circolo vizioso di ragionamenti innescato dall’omofobia interiorizzata. Quando si hanno difficoltà psicologiche è opportuno rivolgersi a professionisti adeguatamente formati.

Attenzione! Molti servizi di supporto non sono erogati da persone adeguatamente formate. È importante controllare la formazione delle persone a cui si sta chiedendo aiuto. Se si tratta di professionisti, probabilmente le informazioni saranno facilmente reperibili online. Su argomenti inerenti la salute mentale e la salute sessuale serve una formazione specifica in ambito psicologico e sessuologico. Essere sensibili, essere attivisti, essere spirituali, essere religiosi, essere queer, non sono caratteristiche sufficienti per lavorare sul supporto psicologico e sessuologico.

Quasi tutta una questione di educazione

L’educazione è una delle cause principali dell’omofobia. Su questo tema ha un peso l’ideologia familiare, il contesto culturale e l’epoca in cui si vive. L’ambiente in cui siamo immersi è pregno di opinioni (spesso non richieste) su come si deve o non si deve essere. Spesso l’intenzione non è di nuocere a qualcuno o provocare sofferenza. Però non avere intenzione di far del male non implica non causarne. Come si dice, la via per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

Come risolvere? È possibile educare in modo che nessuno soffra? No. Probabilmente è impossibile evitare ogni forma di sofferenza ed è possibile che un certo grado di sofferenza sia intrinseca nel processo formativo ed educativo. Però è possibile migliorare questo processo per evitare quantomeno gli errori macroscopici.

2 principi utili a favorire un ambiente più sano, sono l’inclusione e la normalizzazione.

Inclusione

L’inclusione è formalmente l’atto di includere qualcuno in un gruppo. Detto in altri termini, è un tenere in considerazione tutti.

Quando si parla di intimità diventa difficile tenere in considerazione tutti. Quasi qualunque affermazione generale sulla sessualità rischia di essere offensiva per qualcuno. Se si parla di fare qualcosa nel sesso, perché si deve fare per forza qualcosa? Se si discute su cosa fare, perché una scelta e non le altre? Se ci si sofferma sul come comportarsi, sicuramente non verranno mai esaurite le possibili alternative e qualcuno verrà sicuramente trascurato.

La comunicazione è un atto sintetico ed è naturale non includere sempre tutti. Però ricordarsi di farlo il più possibile può disincentivare l’omofobia generale ed interiorizzata. Un ambiente inclusivo è un ambiente che espone e dà visibilità e rappresentanza al maggior numero possibile di persone o situazioni. Non ci saranno mai tutti, ma almeno è un tentativo utile.

Il problema dell’inclusività nella sessualità

Inclusività significa anche esporre, dare visibilità, presenza, rappresentanza. Essere esposti a persone rappresentative delle minoranze e riconoscerle è un’esperienza formativa fondamentale per un ambiente inclusivo.

Alcuni argomenti si prestano meglio di altri ad essere riconoscibili. Per esempio, il razzismo è un problema che può essere superato efficacemente dal vivere immersi in una realtà multietnica. Però è necessario si tratti di un’immersione vitale e positiva nella sua complessità. Altrimenti un’esperienza frammentata, stereotipata e conflittuale è solo fonte di incomprensioni, stress e ulteriore ostilità.

Con gli orientamenti sessuali potenzialmente è semplice creare una realtà multiorientata, qualunque società è già così. Viviamo quotidianamente immersi in un mondo di persone asessuali, omosessuali, eterosessuali, bisessuali e pansessuali. Ma non è riconoscibile. Le persone non hanno “scritto in fronte” il loro orientamento sessuale e, in alcuni casi, non ne sono neanche molto consapevoli. Quindi avviene un fenomeno definito “eterosessismo”; la convinzione pregiudiziale che tutti siano eterosessuali. Anche se non lo sono. E la conseguenza che nel mondo vario e complesso in cui viviamo si fa esperienza di una realtà in cui tutti vengono generalmente considerati eterosessuali e le alternative siano vissute come un caso particolare. Questo crea un’educazione pregiudizievole e favorisce l’omofobia.

È difficile fare esperienza della varietà dei gusti

Per esporre e rendere riconoscibili gli orientamenti sessuali spesso vengono proposti atteggiamenti, abbigliamenti o simboli riconoscibili, che però cadono inesorabilmente nello stereotipo dato che l’orientamento sessuale è un gusto e non è riconoscibile alla vista o da qualunque forma di interazione quotidiana.

La rappresentanza stereotipata ha dei vantaggi, è una rappresentanza, ma anche degli svantaggi, è artificiale e riduttiva.

L’unico modo per riconoscere l’orientamento sessuale altrui è chiedere esplicitamente ad una persona dei suoi gusti sessuali. Ma questo è possibile solo se il contesto ed il rapporto sono idonei ad un dialogo sul desiderio sessuale. Chiedere informazioni fuori contesto è ulteriormente sconveniente. Anche se fatto con le migliori intenzioni, rischia di essere un’esperienza intrusiva ed involontariamente ostile.

Normalizzare

Normalizzare consiste nel chiarire come varietà non implichi una contrapposizione tra giusto e sbagliato, ma solo, ed esclusivamente, varietà. È quello che esperiamo in gelateria, davanti alla varietà dei gusti disponibili. Abbiamo il nostro preferito, ma non pensiamo che gli altri siano sbagliati. Come non riteniamo che tutti quelli che apprezzano gusti diversi siano persone sbagliate. È solo varietà.

Normalizzare è un processo fondamentale per la costruzione di un ambiente non omofobo e non discriminante. Siamo costantemente esposti a stimoli che, invece, polarizzano. L’intento solitamente non è ostile. Come la pubblicità delle palestre generalmente valorizza i corpi tonici senza sminuire l’essere sovrappeso. Ma contemporaneamente è inevitabile che il pubblico contrapponga l’uno all’altro. Non è possibile valorizzare tutto e tutte le alternative contemporaneamente, alla fine la comunicazione è un processo sintetico.

Di conseguenza normalizzare richiede un lavoro attivo e volontario di educazione alla varietà.

Gelateria vs moda

Quindi perché nell’ambito della gelateria è raro che si crei discriminazione per un gusto? Fondamentalmente perché la promozione dei prodotti dolciari tende sempre a proporre varietà e sperimentazione. Per i commercianti è questione di vendere più gelati possibili. Contemporaneamente, involontariamente, educano alla normalizzazione.

Altri settori, come quello della moda, tendono invece a fare il contrario. Ogni stagione viene caratterizzata dal “colore giusto”, dal “vestito definitivo”, dalla “marca ineguagliabile”, producendo l’effetto opposto. Una cultura che educa alla normalizzazione promuove la varietà, la creatività, l’inventiva e l’originalità. Le società con maggiore consapevolezza del valore della varietà probabilmente sono anche quelle meno omofobe.

Perché sono omofobo?

La reazione descritta nella domanda; quel fastidio difronte la diversità, è probabilmente espressione di esperienze non sufficientemente inclusive e non normalizzanti.

Nonostante la comprensione teorica dell’importanza della varietà, non farne esperienza diretta implica alcune abitudini di pensiero che emergono nell’espressione emotiva.

Nel momento descritto, davanti a contenuti riconosciuti come diversi dalle proprie aspettative, ha reagito riconoscendo la diversità invece che la varietà, con confusione invece che curiosità o indifferenza. Non è una colpa non avere gli strumenti per vivere con naturalezza il contatto con gli altri, ma è qualcosa su cui è possibile lavorare.

Allenarsi a riconoscere il proprio modo ostile di ragionare sugli altri è utile per testarlo e farne un’esperienza più consapevole. Non si tratta di correggerlo direttamente, ma di verificarlo ed confrontarlo davvero con la realtà dei fatti. L’omofobia è conseguenza di un ragionamento sintetico che, nella maggior parte dei casi, viene modificato dal semplice fermarsi a svolgerlo con maggiore calma ed attenzione. Una volta osservati con calma, molti pregiudizi cadono difronte all’evidenza della loro inattendibilità.

Dr. Valerio Celletti

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