Siamo tutti traumatizzati? Siamo a rischio di disturbo post-traumatico da COVID-19?


Ad aprile 2020 l’Italia e gli Italiani sono entrati nel secondo mese di quarantena per l’epidemia da COVID-19. Ad oggi, 22 aprile 2020, in Italia i dati ufficiali parlano di 187.000 contagiati, 25.000 deceduti e 54.000 guariti. Data la gravità del tema è comprensibile interrogarsi a proposito delle conseguenze sanitarie di questa pandemia globale. Oltre alla evidente conseguenza del morire, esistono conseguenze indirette per la salute psicologica dei sopravvissuti. Siamo tutti traumatizzati? Che genere di trauma potremmo sviluppare? Quali sono le alternative?


Cos’è il trauma?

Per comprendere il rischio di sviluppare un disturbo post-traumatico è utile spendere alcune righe per spiegare sinteticamente il concetto di trauma. Il trauma è la conseguenza un evento interattivo che supera le resistenze individuali provocando un danno. Se una persona subisce un’incidente, l’evento può danneggiarlo nei punti in cui viene colpito in maniera superiore alla sua resistenza. Il trauma può essere fisico, per esempio tagliarsi la pelle o rompersi un osso, o può essere psicologico.

Il trauma psicologico implica un’interazione pensata. Può originare da un evento fisico, il danneggiamento di una parte del corpo e le conseguenze sull’interazione con il corpo e con l’ambiente, oppure può esistere in completa assenza di un contatto fisico. Il trauma psicologico è un evento che supera la capacità di accomodare la visione del mondo alle informazioni disponibili, provocando l’uso di schemi inadatti o incongrui. È traumatizzato chi continua ad usare schemi evidentemente inadatti al presente, come è traumatizzato chi stravolge completamente la propria vita senza coerenza.

Dato che l’ambiente offre costantemente sollecitazioni fisiche ed emotive, gli esseri viventi riescono a non traumatizzarsi grazie alla loro resilienza. Se la resistenza è passiva, la resilienza è una modalità attiva di rispondere alle sollecitazioni. Se la pelle viva fosse solo resistente, si usurerebbe rapidamente. Invece la pelle si rigenera, riparandosi in continuazione. Allo stesso modo la mente non subisce la realtà, ma la processa modificando i propri ragionamenti. Invecchiando, la mente tende ad irrigidirsi perdendo la capacità di adattarsi ed esponendosi gradualmente al rischio di traumi. È possibile traumatizzarsi a tutte le età. I giovani tendono a manifestare i traumi psicologici per eccesso di accomodazione, mentre gli anziani per difetto.

Non possiamo sapere con certezza quando c’è un trauma. Ma è possibile prevenirlo, osservarlo e curarlo quando si manifesta un disturbo post-traumatico.

Fattori di rischio per sviluppare un disturbo post-traumatico

L’evento traumatico può risultare più o meno pericoloso a seconda di alcuni fattori di rischio generali. La pandemia e le sue conseguenze possono essere tanto più rischiose tanto più sono percepite come minacciose per la vita. La letalità del virus è una minaccia evidente, mentre meno esplicita ma altrettanto pericolosa è la minaccia allo stile di vita prodotta dalle restrizioni alla libertà individuale e al diritto al lavoro, come le conseguenze economiche che impatteranno inevitabilmente sul tenore di vita di molte persone.

Gli eventi traumatici possono essere rischiosi in proporzione alla loro durata. Subire la malattia o la quarantena è grave, ma subirle per un periodo eccessivo rende tutto peggiore. In aggiunta, un elemento importante della pericolosità di un evento traumatico consiste nella sua imprevedibilità. La pandemia attuale potrebbe riproporsi secondo diverse ondate, come la quarantena, anche cambiando modalità, potrebbe interferire sulla vita per un tempo imprecisato.

Quando accade qualcosa di potenzialmente traumatico, la differenza tra un esito traumatico e una sicurezza riguadagnata spesso risiede nel sostegno sociale. Lo scarso sostegno sociale espone a un maggior rischio di trauma psicologico. Nella pandemia il sostegno sociale prova ad essere all’altezza della sfida, ma è esposto a rischi. Infatti durante il primo mese di quarantena l’Italia è stata intensamente attaccata da ondate di notizie false che descrivevano scenari di abbandono inventati. Quelle comunicazioni, spesso di provenienza straniera, sono tentativi di rendere maggiormente traumatica la quarantena.

Non avere adeguate capacità per gestire l’evento traumatico è un fattore di rischio fondamentale. A seconda delle proprie capacità di resilienza un evento può essere più o meno traumatico. Chi reagisce per eccesso o per difetto lo fa in funzione di una mancanza di capacità gestionali.

La componente volontaria e involontaria nel rischio di trauma

Ad oggi gli eventi principali che espongono al rischio di trauma sono quelli che intervengono sullo stile di vita. La pandemia, le iniziative governative anti-contagio, le terapie mediche e i cambiamenti sociali e relazionali sono tutti possibili eventi traumatici. Sebbene le sfumature personali possano essere infinite, è possibile distinguere due macro argomenti. Ritengo sia opportuno distinguere il rischio naturale e inevitabile di trauma prodotto dalla pandemia ed il rischio di origine sociale prodotto dalle iniziative umane conseguenti la pandemia.

Da un lato, la pandemia è un grave evento naturale potenzialmente letale privo di volontà. Il rischio per la salute fisica è enorme ed ha richiesto provvedimenti drastici, ma, da un punto di vista psicologico, è possibile che in questo momento la pandemia non sia il fattore di rischio principale per il trauma psicologico. Il coronavirus COVID-19 procede in modo meccanico e, per quanto sia ancora poco conosciuto, sembra prevedibile. È arrivato in modo ineluttabile, ma grazie alle misure di quarantena sembra che su 60.000.000 di Italiani ne siano stati contagiati 187.000.

Diversamente le iniziative volte a contenere l’epidemia coinvolgono 59.800.000 Italiani che sembrano beneficiare del non aver contratto la malattia, ma sono esposte ad una situazione comunque complessa. Per ordine del governo, da un giorno con l’altro gli Italiani sono stati privati del diritto alla libera circolazione, del diritto al lavoro e minacciate di incarcerazione nel caso avessero varcato la soglia di casa. È stata una decisione importante che ha fatto improvvisamente irruzione nella vita dei cittadini, senza lasciare tempo per organizzarsi e adattarsi. Molte persone sono fuggite dalle proprie abitazioni per trasferirsi in campagna o con i familiari, nell’incertezza del tempo che avrebbero dovuto trascorrere in isolamento. La rapidità dell’evolversi degli eventi e l’intenzionalità della minaccia sono fattori di rischio importanti per lo svilupparsi di un trauma.

Sintomi di un trauma in corso

Quando si vive un’esperienza in modo traumatico, generalmente si manifestano alcuni sintomi. Le persone che hanno subito un trauma tendono a percepire una perdita nel proprio senso di sicurezza. L’esperienza di aver vissuto qualcosa di soverchiante introduce il pensiero che gli eventi siano al di là del proprio controllo. Quando accade in modo traumatico, la perdita di controllo può essere dirompente e spingere a strategie iperprotettive controproducenti.

Un altro segno del fatto che sia accaduto un trauma riguarda la possibile perdita di senso e scopo. Per alcune persone l’evento traumatico sconvolge o congela la naturale vitalità della mente. Dover ridiscutere tutte le fondamenta del proprio modo di ragionare su sé stessi e sul mondo è un processo doloroso. Anche nella psicoterapia si lavora sulle fondamenta del proprio pensare, ma serve un ragionevole quantitativo di tempo per rimodularle volontariamente verso una direzione più salutare. Durante il trauma il cambiamento è rapido, confusionario, involontario e privo di prospettive salutari. Serve sopravvivere, dimenticandosi di vivere.

Dopo un trauma la capacità di prevedere la realtà sembra danneggiarsi. In realtà la vita è sempre parzialmente imprevedibile, ma, nonostante questo, nel quotidiano è naturale convincersi che domani probabilmente sarà simile al presente. Nel trauma accade un evento che mina questo senso di prevedibilità. Nonostante sia sano non credere ciecamente di conoscere il futuro, è importante avere almeno un certo grado di convinzioni a cui poter fare sufficientemente riferimento. Chi ha troppe certezze può essere altamente destabilizzato da un trauma, finendo per vivere alla giornata.

Durante o dopo un trauma, molte persone percepiscono un alto grado di isolamento e perdita del senso del tempo. Stando in casa, in molti stanno vivendo l’esperienza di essere isolati o di non scandire con chiarezza lo scorrere delle giornate. È un’esperienza frequente, ed è un sintomo di come la coscienza tenda ad interagire meno con il resto della mente, lasciandola lavorare in autonomia. Il trauma tende a ridurre la capacità di esercitare il libero arbitrio della coscienza, lasciando fin troppo spazio a una mente che lavora in modo meccanico e ripetitivo.

Reagire per difetto o per eccesso è una manifestazione di trauma

La rapidità delle misure di quarantena è un possibile fattore di rischio per l’insorgere di un trauma psicologico. Improvvisamente molte persone si sono trovate a modificare aspettative e programmi in modo più o meno ordinato. C’è chi è riuscito ad aggiustare efficacemente i propri progetti facendo qualche piccolo accorgimento. Alcuni lo hanno fatto grazie alla loro capacità di adattamento, altri sono stati facilitati dalla dimensione e organizzazione dei propri progetti. Queste persone è probabile che siano quelle che hanno reagito con maggiore resilienza alla novità, proteggendosi dal possibile disturbo post-traumatico che potrebbe conseguirne.

Diversamente, altre persone potrebbero aver reagito secondo due schemi citati precedentemente, per eccesso o per difetto. Alcune persone, agendo per difetto, è possibile che abbiano modificato poco o nulla del proprio modo di pensare il quotidiano. In alcuni casi, c’è chi ha continuato ad investire, spendere, uscire o socializzare. Queste persone, se fortunate, non si accorgeranno dell’accaduto e ricorderanno il 2020 come un anno in cui gli altri erano preoccupati per qualcosa. Eppure è probabile che molte di loro si troveranno indebitate, contagiate, culturalmente danneggiate, criticate o lasciate per il loro atteggiamento. Alcuni attendono ancora con fiducia gli aiuti statali, ignorando che il governo abbia chiuso i focolai senza offrire dispositivi di protezione individuali alla cittadinanza e, soprattutto, agli operatori sanitari che sono stati incensati come “eroi” per dissuaderli dall’esercitare il diritto a non lavorare se privi delle misure di sicurezza necessarie. Gli operatori sanitari e tutti coloro che hanno continuato a lavorare senza le dovute protezioni sono molto a rischio di sviluppare un disturbo post-traumatico.

Non si prendono decisioni in tempo di guerra

Altre persone, agendo invece per eccesso, potrebbero decidere di stravolgere la propria vita. Cambiare abitudini, relazione, città, obiettivi. È sottile il limite tra adattarsi e stravolgersi. In entrambi i casi esiste un cambiamento, eppure uno è resiliente, l’altro è resistente. Qual è la differenza? La persona che reagisce in modo eccessivo spesso prende decisioni che sacrificano valori fondamentali senza integrarli in prospettive più ampie.

Durante la quarantena alcune persone hanno deciso di cambiare lavoro, chiudere relazioni di coppia o trasferirsi definitivamente altrove. In alcuni casi la pandemia è stata l’occasione per anticipare un progetto già in cantiere, ma spesso si è trattato di stravolgere i propri piani recuperando un “sogno nel cassetto”. Inseguire i propri sogni e non lasciarsi fermare dalla paura sono due obiettivi importanti. Ma è altrettanto importante avere chiaro il motivo per cui alcuni sogni erano nel cassetto o facevano paura. Ignorare la paura è incoscienza, non coraggio.

Le persone che “prendono decisioni in tempo di guerra”, per citare una espressione di Daria Bignardi, si espongono al rischio di sbilanciarsi in una direzione inadeguata al proseguire degli eventi. La pandemia, per quanto grave, per i sopravvissuti è solo una fase di passaggio. Prendere decisioni vincolanti comporta il rischio di trovarsi a fare i conti con decisioni che, a fine emergenza, non saranno più adeguate. L’esperienza attuale è utile che offra un cambio di prospettiva integrato al passato. Non fidarsi dello stato o della politica per le limitazioni o la mancanza di aiuti è in parte comprensibile, ma impraticabile. Quindi è importante trovare un modo equilibrato di integrare fiducia e diffidenza senza esporsi al rischio di incoerenza.

Non esiste una ricetta per evitare il trauma

Esistono vari fattori di rischio, più o meno condivisi, e varie competenze individuali più o meno utili in accordo alla propria situazione particolare, ma non esiste una ricetta che risolva tutti i casi specifici. In questo momento, come ha suggerito qualcuno, viviamo tutti nella stessa tempesta ma su barche diverse. Per alcune persone la quarantena è una passeggiata da condividere sui social, mentre per altri è un momento difficile in cui piangere i propri cari, lavorare esponendosi al rischio di contagio o riflettere seriamente sulla propria vita e relazione. Non siamo tutti traumatizzati, ma ne corriamo tutti il rischio.

Come per molte situazioni traumatiche, può essere di aiuto cercare, per quanto possibile, di allargare il proprio punto di vista senza snaturarlo. Fare esperienza della tempesta attuale senza pensare che d’ora in poi sarà sempre così. Ripensare i propri progetti tenendo in considerazione che, a volte, questi imprevisti possono capitare. Continuare a fidarsi senza affidarsi eccessivamente agli altri. Valutare i propri progetti tenendo in considerazione sia i propri gusti e desideri, sia la fattibilità pratica. Prendersi cura delle proprie necessità emotive trovando lo spazio per condividerle senza delegarle. Coltivare autonomia e rapporti soddisfacenti.

Per muoversi dentro la tempesta, quando la propria barca fa acqua, chiedere aiuto è una decisione fondamentale per evitare traumatizzarci nell’affondare o nel rimanere a galla in modo sbagliato. Cerchiamo ognuno di migliorare la stabilità della propria barca o, in alternativa, la nostra capacità di navigare lavorando sul proprio modo di pensare le difficoltà e vivere le emozioni.

Dr. Valerio Celletti