Le terapie di conversione
A marzo 2019 durante il congresso mondiale delle famiglie i partecipanti hanno parlato di tesi controverse, tra cui le terapie di conversione o anche dette terapie riparative per l’omosessualità. Durante il convegno queste pratiche sono state definite scientifiche e citate con naturalezza, ma sono pratiche anacronistiche, contrarie alla deontologia professionale e iatrogene per chi le subisce. è importante ribadirne la pericolosità mettendo in dubbio le idee che ne costituiscono le fondamenta.
Perché parlare del convegno mondiale delle famiglie 2019?
Il 29, 30 e 31 marzo 2019 si è svolto a Verona il congresso mondiale delle famiglie. L’evento ha avuto grande visibilità sui media: ne hanno parlato televisioni, radio, giornali, social, ecc. Nella maggior parte dei casi la visibilità è stata prodotta dalla particolarità degli argomenti discussi. Gli organizzatori del congresso si sono proposti di parlare di argomenti importanti dando voce a relatori che sostengono opinioni estremiste che hanno attirato numerose critiche. La critica principale riguarda il fatto che le tesi siano anacronistiche e ritenute superate dalla maggior parte della popolazione.
Di cosa abbiano davvero parlato sul palco del congresso si sa relativamente poco, la notizia non sta tanto nelle opinioni espresse davvero durante l’evento. Ma si è discusso molto di quali idee circolassero tra il pubblico del congresso. Alcuni partecipanti hanno espresso opinioni radicali sull’aborto, su cosa ritengono sia il diritto alla vita, su come pensano che sia giusto che gli altri vivano la loro sessualità e su come credono che debbano essere le famiglie altrui. Non voglio rispondere a tutti i contenuti emersi, sarebbe troppo lungo, piuttosto preferisco rispondere con chiarezza a un’unica questione, quella delle terapie di conversione.
Opinioni non scientifiche, millantate come tali
Ognuno ha diritto alle proprie idee e a condividerle come meglio preferisce, ma è importante rispondere chiaramente ad alcune opinioni che, perlomeno tra il pubblico, sono state definite “scientifiche” quando invece non hanno fondamento scientifico.
In particolare, da psicologo, da psicoterapeuta e da sessuologo, mi sono sentito chiamato in causa quando ho sentito che tra il pubblico erano presenti opinioni non condivisibili sulle terapie di conversione, anche dette terapie riparative o terapie di riorientamento sessuale. Per chi non lo sapesse, con l’etichetta terapie di conversione ci si riferisce ai percorsi di riparazione e “correzione” dell’orientamento sessuale finalizzati al cambiamento dall’omosessualità all’eterosessualità.
A volte qualcuno prova a confondere queste terapie con la psicoterapia tradizionale asserendo che “tutte le terapie sono la riparazione di qualcosa”; ma questa argomentazione è talmente generica che è come se mettesse sullo stesso piano chi pratica infibulazione con la chirurgia. Le terapie riparative sono ritenute dannose e corrispondono a una pratica illegale perseguibile legalmente e deontologicamente. Inoltre, a prescindere dal tema specifico, non tutte le terapie sono la riparazione di qualcosa, anzi. Il paradigma della riparazione fa riferimento a una logica prettamente strutturale della psiche umana, in contrasto con la concezione principalmente funzionale che è condivisa ormai dalla maggior parte della psicoterapia contemporanea. Anche qui, quindi, troviamo argomentazioni anacronistiche.
Comunque, per questo come per gli altri argomenti del congresso, ognuno ha diritto alla propria opinione, ma non voglio trattenermi dal rispondere a chi afferma pubblicamente che certe idee abbiano fondamento scientifico. È possibile coltivare e studiare alcune ipotesi e, se proprio non si riesce a valutare un punto di vista scientifico, rimanere delle proprie idee senza velleità scientifiche. Non serve cambiare per forza idea. Invece, andare in pubblico ad argomentare affermazioni false è quello che, ad oggi, rientra sotto il termine di fake news. Quello delle fake news è un fenomeno che è importante tentare di contenere.
Le idee alla base delle terapie di conversione
La convinzione che possa aver senso praticare una terapia di conversione ha una lunga storia. Queste terapie nascono in contesti religiosi e si associano a pratiche simili all’esorcismo. Successivamente hanno avuto spazio in ambito clinico fino a scomparire dalle pratiche accettabili nel 1973, data dell’eliminazione dell’omosessualità dal manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Se l’oggetto delle terapie non veniva più considerato un disturbo, di conseguenza era venuto a mancare il senso delle terapie di conversione.
Per questo, negli anni ’80 le terapie di conversione sono state riproposte con il nome di terapie riparative da un ristretto numero di psicoanalisti che non hanno trovato il supporto della comunità scientifica. Le terapie riparative non ritengono più che l’omosessualità sia un disturbo, come credevano i sostenitori delle terapie di conversione, ma che l’omosessualità sia la conseguenza di un danno subito nella relazione con i genitori. Questa teoria quindi ritiene che l’omosessualità sia un comportamento appreso volto a compensare i problemi con i genitori, pretendendo che il rapporto genitoriale possa, di conseguenza, spiegare tutti gli orientamenti sessuali. Ad oggi si ritiene che gli orientamenti sessuali siano originati da una mescolanza di fattori genetici, psicologici e ambientali.
Le principali idee di fondo delle terapie di conversione e delle terapie riparative sono: 1) Che l’omosessualità sia un orientamento sessuale sbagliato 2) Che l’eterosessualità sia l’orientamento sessuale naturale 3) Che l’orientamento sessuale sia solo un comportamento, modificabile come tutti i comportamenti 4) Che il benessere sessuale sia secondario al benessere spirituale.
Senza entrare in un discorso complesso, provo a suggerire alcuni punti di vista alternativi, così che ognuno possa ragionare liberamente sul proprio punto di vista senza doverne accettare uno a priori.
1) L’omosessualità è un orientamento sessuale sbagliato?
Ad oggi si ritiene che gli orientamenti sessuali siano cinque. Esiste l’eterosessualità, l’omosessualità, la bisessualità, la pansessualità e l’asessualità. Dire che uno di questi cinque orientamenti sessuali sia sbagliato, significa quindi saper argomentare che gli altri 4 siano giusti. Probabilmente è impossibile dimostrare che un orientamento sia giusto o sbagliato senza prendere una posizione basata su valori personali. In quel caso, l’argomentazione prodotta non sarebbe una dimostrazione, ma solo un’opinione personale. Se si parlasse di gelati, verrebbe da chiedersi: È sbagliato il cioccolato? È giusta la vaniglia? E quanto è corretto il pistacchio? Domande che possono sembrare assurde riguardo al gelato, ma che sono alla base delle terapie di conversione.
È possibile che le persone che ritengono l’omosessualità sbagliata la pensino in contrapposizione alla propria eterosessualità, nella convinzione che tutto quello che è diverso da sé possa essere sbagliato. Questa idea potrebbe portare a riflettere su quanto sarebbe utile confrontarsi con le persone diverse da se stessi, ma trovo sia più utile sottolineare un’altra sfumatura del discorso. Non è detto che chi si ritiene eterosessuale lo sia davvero. Nel senso che un comportamento eterosessuale non rende tali. L’orientamento sessuale è identificabile soprattutto dal proprio gusto sessuale verso gli altri e le persone che hanno comportamenti eterosessuali potrebbero essere bisessuali, pansessuali o asessuali. Comprendere il proprio orientamento non è scontato. Negli studi sulla conversione sessuale, spesso i risultati di conversione ampiamente pubblicizzati riguardavano persone bisessuali e non persone omosessuali, quindi persone che non hanno cambiato orientamento ma soltanto gestito il proprio comportamento. Non è molto diverso dal rinunciare alla sessualità per un voto religioso.
2) L’eterosessualità è l’orientamento sessuale naturale?
L’idea che qualcosa sia più o meno naturale è un’idea complessa. Genetica, ambiente e libero arbitrio interagiscono in modo imprevedibile nel creare l’idea di cosa sia naturale. L’essere umano è un individuo sociale che, in ogni luogo del mondo, ha costruito strutture sociali più o meno elaborate che, probabilmente, sono un’espressione naturale dell’umanità.
Nonostante questa varietà, gli orientamenti sessuali alternativi all’eterosessualità sono sempre esistiti in ogni cultura. Quindi qual è il ruolo della cultura nell’orientamento sessuale? Se c’è un ruolo, come si spiega il fatto che gli orientamenti sessuali siano vari in tutte le culture? E considerando l’idea che la società abbia un ruolo nella determinazione dell’orientamento sessuale (cioè nel suo esserci, non nel suo manifestarsi), sarebbe un ruolo naturale oppure no?
Nonostante l’eterosessualità sia probabilmente l’orientamento che favorisce la riproduzione e quindi il perpetuarsi del corredo genetico delle persone eterosessuali, la selezione naturale non ha eliminato la varietà degli orientamenti sessuali. Come si spiega questo fenomeno? Anche nelle specie animali esistono numerosi esempi di orientamento sessuale alternativo a quello eterosessuale; anche gli animali sono innaturali? È probabile che tutti gli orientamenti sessuali siano ugualmente naturali e connaturati nello sviluppo dell’essere umano.
3) L’orientamento sessuale è un comportamento modificabile?
Considerare la sessualità un comportamento è una prospettiva riduttiva e semplicistica. In generale, la sessualità può essere riconosciuta anche dal comportamento, ma fermarsi a quello potrebbe facilmente indurre in errore. Se ci si limitasse a guardare il comportamento, una persona eterosessuale che non ha comportamenti sessuali, come una persona che non riesce a trovare un/a partner o chi decide di astenersi dalla sessualità per motivi religiosi, sarebbe ancora eterosessuale? Generalmente la risposta è si, perché il criterio fondamentale dell’orientamento sessuale è il gusto nella sessualità. Quindi una persona che desidera avere rapporti sessuali con una persona di sesso opposto è generalmente considerabile eterosessuale anche se non ha successo con l’altro sesso. Una persona vergine non acquisisce un orientamento sessuale perdendo la verginità, ma piuttosto possiede un gusto sessuale a prescindere dalla sua decisione di avere o no rapporti sessuali.
Nella sessualità esistono numerosi comportamenti modificabili, ed è possibile lavorare per modificarli o gestirli. Contemporaneamente questo non implica in alcun modo una riparazione dell’orientamento sessuale. Una persona bisessuale, se coinvolta in una relazione stabile, tendenzialmente metterà in pratica comportamenti sovrapponibili all’eterosessualità o all’omosessualità a seconda del sesso del suo partner. Forzare una persona a mettere in pratica comportamenti contrari al proprio gusto teoricamente è possibile, ma lesivo del diritto al benessere dell’individuo. È come se una persona che detesta la verdura fosse obbligata a vivere da vegana. Probabilmente riuscirebbe a sopravvivere nutrendosi solo di una dieta priva di alimenti di origine animale, ma vivrebbe con sofferenza e rancore verso chi le impone tale regime alimentare.
Parlando di gusti, è possibile che i gusti possano cambiare nel tempo. L’orientamento sessuale è una caratteristica generalmente stabile, ma se si modificasse, lo farebbe come fanno tutti i pensieri, cioè per addizione e mai per sottrazione. Forse è possibile che una persona eterosessuale o omosessuale diventi bisessuale o pansessuale, ma è improbabile pensare che una persona eterosessuale possa diventare omosessuale o viceversa.
4) Il benessere sessuale è un benessere secondario?
È difficile stabilire un ordine universale di priorità. È possibile che per alcune persone il benessere economico, spirituale, alimentare o di altra natura sia prioritario al benessere sessuale. Probabilmente ognuno ha il diritto ad avere un suo ordine personale di priorità. Nonostante questo, il benessere sessuale non può essere considerato in maniera generica una forma secondaria di benessere. Nel 2002 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato che ritiene il benessere sessuale in diritto inviolabile dell’individuo. In questo senso nessuno ha l’obbligo di perseguire il benessere sessuale, ma tutti dovrebbero avere il diritto di poter provare a perseguire il proprio massimo livello possibile di benessere sessuale. Questo principio riguarda tutti, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, dalla propria condizione politica, sociale, economica e di salute.
Questo argomento diventa particolarmente significativo quando si parla di disabilità. In diversi contesti culturali a volte le persone con disabilità vengono considerate prive di diritto al benessere sessuale. Questo finisce per portare a politiche che finiscono per deprivarle di alcuni servizi che potrebbero migliorare notevolmente la loro qualità della vita, danneggiandole. Contemporaneamente, una persona con disabilità tende ad avere un rischio di circa il 50% di subire molestie sessuali nel corso della propria vita. A volte, essere considerati privi di diritti espone al disinteresse e ai rischi che derivano dalla mancata presa in carico di un tema delicato. Data la premessa che chiunque può decidere liberamente per se stesso, chi può avere il diritto di decidere cosa è secondario per gli altri?
Sulle terapie di conversione e le terapie riparative in Italia
In conclusione, ribadendo quanto ognuno abbia diritto alle proprie opinioni, le idee alla base delle terapie di conversioni sono discutibili e non incontrano il favore della comunità scientifica. In alcuni ambienti le terapie di conversione sono una realtà che continua ad essere sperimentata alla ricerca di validità empiriche che, ad oggi, non sono mai state raggiunte. In Italia lo specialista abilitato all’esercizio della psicoterapia è lo psicologo psicoterapeuta, professionista che per esercitare in Italia ha superato l’esame di stato e quindi conosce la deontologia professionale. Le terapie di conversione oltre a non avere fondamenti scientifici, violano la deontologia professionale.
L’articolo 4 del codice deontologico degli psicologi dice che: “Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità.” Quindi il professionista che potrebbe teoricamente svolgere una terapia di conversione, non offre questo servizio perché deontologicamente inaccettabile. Chiunque svolga tale intervento senza essere psicologo, commette esercizio abusivo della professione.
Per le persone che soffrono di dubbi e incertezze sul proprio orientamento sessuale, sulla propria identità e sul proprio rapporto con gli altri, con la società e con la spiritualità, la psicoterapia può essere un’ottima occasione per lavorare su se stessi per capire i propri gusti, il proprio modo di vivere le relazioni e per prendere decisioni consapevoli su quale progetto di vita di desideri coltivare, coerentemente con le proprie priorità e il proprio diritto al benessere e alla salute.