Tredici (13 Reasons Why), una serie sul bullismo e l’autolesionismo in adolescenza
Tredici (13 Reasons Why) è una serie tv complessa. In questo telefilm vengono trattati in modo rapido e non commentato eventi gravi che coinvolgono un gruppo di adolescenti americani. La storia è complicata sia per gli argomenti trattati (molti, forse troppi) sia per la totale assenza di una voce che si esprima a chiarimento di alcuni passaggi. Per questo motivo credo possa essere utile un breve commento che, limitando al massimo gli spoiler, spieghi alcuni eventi narrati.
Per chi non sapesse di cosa tratta Tredici (13 Reasons Why), si può precisare che il telefilm racconta la storia di Hannah Baker e di come la protagonista sia arrivata a scegliere di togliersi la vita. Questa informazione viene rivelata nei primi minuti della storia e accompagna lo spettatore attraverso l’ascolto delle tredici audiocassette, una per puntata, che Hannah Baker ha lasciato per spiegare come sia arrivata a compiere il suo gesto e quali persone ritiene siano responsabili della sua decisione.
Come anticipato, cercherò di non fare nessuno spoiler, quindi scriverò solo di alcuni argomenti senza rivelare i colpi di scena.
Adolescenti e emotività
Tredici (13 Reasons Why) presenta i personaggi in modo furbo, suscitando emozioni contrastanti che, però, creano un’esperienza importante. Inizialmente Hannah Baker può suscitare facilmente rabbia o disgusto in molti degli spettatori. Le sue argomentazioni sembrano leggere ed esagerate, ma è possibile che l’opinione dello spettatore cambi proseguendo nel racconto. Questo modo di raccontare Hannah Baker è probabilmente studiato apposta per mettere lo spettatore in due posizioni contrapposte: quella di chi condanna chi sceglie di togliersi la vita e quella in cui si prova a capire cosa ci sia dietro.
Questa esperienza suggerisce indirettamente una realtà fondamentale: è difficile giudicare un’emozione altrui. Le emozioni sono eventi naturali e transitori conseguenti alle nostre opinioni. Lo stesso pensiero può suscitare emozioni di qualità e quantità diversa a seconda della nostra opinione nei confronti di quel pensiero. Opinioni più radicali conducono a esperienze emotive più intense e, di conseguenza, più dolorose.
I protagonisti di Tredici (13 Reasons Why) sono adolescenti e, siccome l’adolescenza è una fase importante nella costruzione delle opinioni nei confronti del mondo, l’adolescenza per molte persone può risultare una fase della vita intensa e dolorosa.
Contribuisce al problema l’ideologia diffusa che le emozioni intense siano più desiderabili e piacevoli di quelle lievi. Alcuni ritengono che esistano emozioni positive e che altre siano negative e da evitare. Queste idee non trovano riscontro negli studi che esplorano le emozioni. Le emozioni non sono né positive né negative: esse piuttosto costituiscono esperienze naturali e transitorie. Entro una certa intensità tutte le emozioni possono essere piacevoli se vissute in modo volontario e consapevole, mentre le emozioni più intense tendono ad essere inevitabilmente dolorose e confusionarie sia nelle loro motivazioni, che nei ragionamenti che producono.
I campanelli di allarme di Hannah Baker
Hanna Baker è una protagonista con delle vulnerabilità che possono essere considerate campanelli di allarme del suo disagio.
1) Autostima fragile
Hannah Baker ha un’autostima fragile nonostante sia apprezzata dalla maggior parte delle persone con cui entra in relazione. Questa fragilità è nascosta da un atteggiamento agguerrito e scontroso verso chi prova ad avvicinarla. L’autostima non si basa su dati oggettivi quali l’estetica, le competenze o altro, ma è la conseguenza di quello che si pensa di se stessi. In adolescenza, vista la sfida di confrontarsi con il mondo, la maggior parte delle persone hanno un’autostima vulnerabile. Questa considerazione è vera indipendentemente dall’atteggiamento dell’adolescente. Una ragazza che si comporta in modo costantemente aggressivo e rabbioso non è sicura di sé. Tutte le emozioni espresse in modo rigido e ripetitivo (si tratti di rabbia come di costante felicità) sono comportamenti che richiedono di essere monitorati. Le emozioni hanno naturalmente una natura mutevole ed ogni tono emotivo eccessivamente rigido può essere considerato un campanello di allarme.
2) Emotività intensa
Probabilmente la protagonista prova molta rabbia nei confronti del mondo che la circonda e arriva così a fidarsi raramente degli altri. Questo atteggiamento porta a risultati a volte positivi e altre negativi, ma il telefilm non spiega come Hannah Baker sia arrivata a nutrire così tanta rabbia nei confronti degli altri: notiamo come lei viva spesso un’emotività molto intensa e, contemporaneamente, poca competenza nel gestirla.
All’inizio della storia Hannah Baker si è appena trasferita da un’altra città, quindi non sappiamo cosa sia successo precedentemente ai fatti narrati. Sappiamo che, probabilmente, ha sempre avuto dei problemi nei rapporti con gli altri (visto che ha un approccio sempre prevenuto). Questo vuol dire che, prima che gli altri dicano qualcosa, lei ha già in mente un suo pensiero che non condivide. Così facendo, non esprime i suoi pensieri e, forse, non le sono chiare le conseguenze del suo modo di pensare. Vivere così intensamente ogni incontro con gli altri rischia di caricare di aspettative ogni momento e, di conseguenza, appesantisce ogni gesto e ogni reazione con un valore che non è utile che possieda. Questo modo di vivere intensamente ogni gesto rischia di convincere il protagonista di opinioni che gli altri, invece, non condividono. Questo può portare a percepirsi isolati anche se non lo si è realmente.
3) Assenza di figure di riferimento autorevoli e stabili
La storia precipita nel momento in cui i genitori, nonostante siano persone affettuose e supportive, si ritrovano ad essere momentaneamente poco disponibili perché presi da altre difficoltà che non riguardano la figlia. I professori sembrano distratti da altro e, anche quando provano ad avvicinarsi per essere di aiuto, non risultano credibili.
Menzione speciale su questo argomento la merita il counsellor, il professore che dovrebbe occuparsi di sostegno psicologico per gli studenti senza avere le competenze necessarie per affrontare la situazione. Questo difetto non è da imputarsi al personaggio, ma al fatto che in America non esiste nessuna regolamentazione sulla psicologia. Questo produce figure di ascolto non professionale (i counsellor) che praticano sostegno psicologico in modo amatoriale. In Italia la professione dello psicologo è regolamentata dalla legge e questo limita i casi di incompetenza professionale.
Differenze tra psicologo e counsellor
Ogni psicologo ha almeno una laurea di cinque anni ed un esame di stato, mentre ogni psicoterapeuta è uno psicologo abilitato che ha svolto un ulteriore percorso di specializzazione di quattro anni per sviluppare le competenze cliniche necessarie a lavorare con il disagio psicologico. È quindi importante sottolineare che counsellor non è la traduzione inglese di psicologo. Negli stati uniti lo psicologo si chiama psychologist e lo psicoterapeuta è lo psychotherapist, mentre il counsellor è una persona a cui è stato dato un ruolo di ascolto non professionale.
Per dovere di cronaca, nel telefilm il counsellor non ha lavorato malissimo. Possiamo notare come lui abbia messo in atto alcuni interventi condivisibili mentre, in altri casi, ha commesso degli errori che evito di spiegare per non fare spoiler. Mi limito a sottolineare quanto sia importante che un professionista che si approccia all’ascolto di persone con difficoltà emotive non dubiti mai di un assioma fondamentale: ogni persona è il massimo esperto di se stesso ed è l’unica persona a poter affermare se un pensiero, un’emozione o una sensazione fisica siano vere o false. Ascoltare senza giudicare è il primo passo necessario per costruire un rapporto di lavoro collaborativo, serio e autorevole.
Non giudicare non vuol dire non avere un’opinione personale, ma piuttosto riuscire a ragionare a prescindere dalla propria opinione. Per rispettare questo criterio è necessario costruire un contatto volontario con le proprie opinioni e imparare a gestirle.
Bullismo
Il bullismo è l’etichetta con cui oggi si identificano tutti i comportamenti violenti che si verificano tra coetanei. Questa etichetta è poco efficace e contribuisce in parte al mantenimento del problema.
Sentire parlare di bullismo, infatti, spesso porta a pensare a situazioni in cui il forte si accanisce sul debole per motivi frivoli o insensati. Non è così. I comportamenti violenti tra coetanei sono spesso la conseguenza di comportamenti appresi in altri contesti e tendono a essere l’espressione di un disagio emotivo. Ricordi il carattere di Hannah Baker? Agguerrita, scontrosa e arrabbiata. In molte occasioni Hannah Baker si comporta da bullo con gli altri, e, chi più chi meno, nel telefilm tutti hanno comportamenti reciprocamente violenti. Dire quindi che Tredici (13 Reasons Why) parla di bullismo vuol dire che il telefilm parla di violenza e che vede tutti, contemporaneamente, attori e vittime del bullismo di cui è intriso il mondo in cui vivono.
Questo non significa che la vittima di bullismo sia sempre anche lei un bullo. Nella realtà spesso la vittima è solo una vittima e non è responsabile di quanto subisce. Allo stesso tempo è frequente che alcune persone siano prese di mira più di altre. Alcuni vengono presi di mira per caratteristiche intrinseche non modificabili, mentre altri hanno comportamenti che involontariamente espongono a rischi. Per fare un esempio, le persone con disabilità hanno il 50% di probabilità di subire molestie sessuali durante la vita.
Intervenire sul bullismo è difficile per diversi motivi. Due problemi importanti sono l’omertà dei coetanei e l’instabilità degli adulti.
1) L’omertà
Spesso gli adolescenti tendono ad essere omertosi isolandosi dal mondo degli adulti, percepiti come lontani e inadeguati. Se infatti il bullismo riguarda la violenza tra coetanei, spesso chiedere aiuto fuori dal gruppo dei pari viene visto come un ulteriore fallimento, perché a parità di strumenti non si riesce a gestire un problema facendo leva solo sulle proprie forze.
Non esiste una soluzione semplice a questo problema. Tra gli adulti c’è chi risulta credibile perché referenziato e chi perché ha un atteggiamento amichevole. Alcune persone sono punti di riferimento semplicemente perché presenti in modo costante. Non esiste un unico criterio che renda credibile un interlocutore. Allo stesso tempo la natura spesso competitiva della cultura del mondo dell’educazione insegna involontariamente che arrendersi è sbagliato. L’idea che la resa sia una strada da non considerare è un fallimento, perché non insegnare ai giovani a scegliere tra impegno e resa rischia di portare a fatiche che comportano più costi che guadagni.
A rafforzamento di questa immagine, il telefilm ci mostra una scena importante quando un genitore si complimenta con il figlio per essere stato violento. In quel caso, nonostante il genitore sia una figura di riferimento forte, è autoritario invece che autorevole. Questo personaggio promuove l’impegno sempre e ad ogni costo, ignorando le conseguenze dei suoi insegnamenti. Ogni pensiero rigido non può essere adatto ad ogni situazione.
La cosa più efficace, in questi casi, sono gli interventi di prevenzione secondaria. Per prevenzione secondaria si intende un intervento rivolto a un pubblico a rischio che non manifesta concretamente il problema ma che potrebbe manifestarlo. Educare i giovani al confronto con il mondo, alla competenza emotiva, alla cultura dei diritti e al riconoscimento delle loro violazioni è un percorso necessario per diminuire la violenza e permettere una comunicazione comprensibile.
2) Instabilità personale o professionale dei professori
Tutte le persone hanno momenti di minore o maggiore competenza professionale. Può capitare di attraversare momenti di vita dolorosi e, nonostante ciò, di continuare a dover svolgere quotidianamente il proprio mestiere. Questo ha conseguenze diverse a seconda del mestiere svolto. Quando si lavora a contatto diretto con le persone molti operatori sviluppano un esaurimento, anche chiamato burnout. Anche se esaurimento è il termine più appropriato, io preferisco la traduzione letteraria dello scottarsi. Come una persona scottata, chi è esaurito reagisce a tutte le interazioni in modo eccessivo e non riesce più a regolare la propria emotività. Questo può succedere a tutti i professionisti che interagiscono quotidianamente con il pubblico e tende a favorire la costruzione di un modo di relazionarsi intriso di rabbia, disgusto per gli altri e di tristezza per se stesso.
Per questo motivo è importante che le persone che lavorano a contatto con il pubblico abbiano un supporto psicologico professionale che permetta loro di rimanere presenti, professionali e disponibili nei confronti delle persone con cui interagiscono. I professori, in Italia, spesso vivono realtà precarie e confuse e non ricevono supporto psicologico. In alcune realtà ad oggi stanno aprendo sportelli di ascolto psicologico entro le scuole che rivolgono l’attenzione agli studenti, ma ritengo che per gestire il bullismo, oltre che uno sportello di ascolto per gli studenti, serva estendere il supporto psicologico anche ai professori che trascorrono molte ore a contatto con loro e che, se messi nelle condizioni di esserlo, possono essere i primi ad osservare i segni di un possibile disagio dovuto al bullismo.
Autolesionismo
L’autolesionismo è un comportamento direttamente o indirettamente violento rivolto verso se stessi. La conseguenza più grave dell’autolesionismo può essere il suicidio, ma esistono innumerevoli forme meno intense di autolesionismo. L’autolesionismo generalmente non è finalizzato alla morte ma solo alla produzione di un dolore volontario. Alcuni esempi di autolesionismo sono: praticarsi dei tagli sul corpo, eccedere con l’uso di alcolici, stupefacenti o farmaci, privarsi del sonno, del cibo o della sessualità o eccedervi, danneggiare i propri oggetti, imporsi comportamenti dalle conseguenze volutamente dolorose o restrizioni specifiche per la gestione del proprio tempo.
In Tredici (13 Reasons Why) l’autolesionismo si presenta in molte forme. Non esiste un unico motivo che possa condurre a praticare comportamenti autolesionistici. In generale ogni comportamento autolesionistico sottende un tentativo di gestire una necessità emotiva agendo sul corpo invece che sul pensiero. Questa confusione, seppur semplice, è fondamentale. Le emozioni sono prodotte dai pensieri e per regolarle è necessario dialogare con i pensieri che le innescano. Viceversa, produrre un taglio sulla pelle realizza una momentanea variazione dell’intensità emotiva distraendo la mente da se stessa e portandola a concentrarsi sul dolore, così che la persona percepisce un momento di benessere illusorio che però non modifica la natura del problema portando a una situazione peggiore di quella di partenza.
Normalità e disagio nell’autolesionismo
Sentire parlare di autolesionismo in certi contesti può risultare fuori luogo e difficile da comprendere, ma è importante considerare che esistono innumerevoli gradi di autolesionismo e che, in alcune occasioni, involontariamente la cultura favorisce certi comportamenti autolesionistici proponendoli come occasioni di miglioramento morale o personale.
In adolescenza l’autolesionismo può essere il sintomo di un grave disagio emotivo che, se percepito, richiede di essere approfondito con il dialogo. Come primo passo è importante che le figure di riferimento si facciano carico di parlare con il minore e che siano loro a capire se sia un campanello di allarme o no e se l’adolescente stia imparando a gestire le sue emozioni o se sia in difficoltà non sapendo cosa fare per migliorare. In questo secondo caso, la psicoterapia è il contesto adeguato per imparare una maggiore competenza emotiva. I figli tendono ad avere un livello di competenza emotiva equivalente a quello del genitore più competente. Questo dato può rendere evidente come l’adolescente impari in famiglia più di quanto si desidera insegnare.
L’autolesionismo negli adulti è un comportamento più raro che in adolescenza e, in ambito diagnostico, è considerato la specialità comportamentale dei tratti del disturbo borderline di personalità. I disturbi di personalità hanno esordio durante l’adolescenza ma si ritiene siano diagnosticabili soltanto da adulti. In questo senso, un comportamento autolesionistico in adolescenza è un fattore di rischio per il disturbo borderline di personalità da adulto.
Considerazioni finali
Tredici (13 Reasons Why) è, quindi, una serie che tocca temi importanti e complessi difficili da riassumere. Non esiste una ricetta per evitare che accadano eventi irreparabili come il suicidio, ma è possibile correre ai ripari in alcuni modi.
È importante favorire la disponibilità di un ascolto professionale e la cultura del dialogo. Serve che chiedere aiuto non sia vissuto come una sconfitta ma come un’occasione di crescita e che sia data attenzione allo sviluppo di una competenza emotiva efficace, sia in adolescenza, sia successivamente, per favorire una cultura che promuova il benessere personale oltre che l’inseguimento delle competenze professionali.
È poi importante disporre di qualcosa di grande valore, il tempo libero. Educare i giovani richiede tempo sia per chi li educa, sia per loro. Desiderare che tutto sia fatto di fretta non aiuta gli adolescenti a imparare che, nonostante il forte dolore di alcuni momenti cruciali, la vita è lunga e le emozioni sono momentanee. Quando un’emozione non è momentanea e continua a ripresentarsi, inavvertitamente stiamo contribuendo a prolungare quell’emozione pensando in un determinato modo. Per renderci conto di questo è necessario avere tempo libero dagli stimoli e dalle continue interazioni con gli altri e, ogni tanto, prenderci anche del tempo per stare con noi stessi.
Infine, Tredici (13 Reasons Why) suggerisce una possibile risposta alla domanda che tutti i protagonisti si pongono in più occasioni: Chi è il responsabile della decisione di Hannah Baker?
Per rispondere a questa domanda serve fare una breve riflessione che alcuni potrebbero considerare un piccolo spoiler, quindi, se non si desidera nessuna informazione sul finale,si può evitare di leggere le ultime righe dell’articolo.
Siamo responsabili delle scelte altrui?
In modo silenzioso la serie inserisce la risposta a questa domanda facendola incarnare nelle vicende di un personaggio secondario, Skye. Questo personaggio è presente durante tutto il racconto senza esserne mai realmente protagonista. Skye è una ragazza molto simile ad Hannah Baker ma, allo stesso tempo, con una fondamentale differenza. Se Hannah Baker è una ragazza perfettamente integrata nella cultura di riferimento, incarnandone i pregi e i valori, Skye fa riferimento a una controcultura che, seppure non sia migliore della cultura ufficiale, offre una risposta alternativa al problema dell’isolamento e la aiuta a considerare pregi e valori alternativi nonostante le sue difficoltà siano paragonabili a quelle di Hannah Baker.
Pensare diversamente può essere una risorsa.
È importante permettere e favorire la coesistenza di diverse correnti culturali (non violente) per offrire un’alternativa a tutti coloro che sentono il bisogno di costruirsene una. In questo senso, nessuno è direttamente responsabile delle scelte altrui, ma tutti possono aiutarsi favorendo la libertà di scelta e la cultura della diversità senza cercare di prevaricarsi ad ogni costo ed imparando a saper perdere quando gli eventi lo richiedono, collaborando perché le cose possano essere migliori. In alternativa, tutti sono complici del bullismo e contemporaneamente vittime di un mondo violento e spiacevole in cui l’autolesionismo può sembrare una soluzione.