Victim Blaming, la colpevolizzazione della vittima


Il victim blaming è un processo psicologico riguardante la tendenza a colpevolizzare le vittime. Spesso è osservabile quando accadono crimini violenti o di natura sessuale e solitamente viene messo in pratica senza rendersi conto della gravità del fatto. Cerchiamo di capire insieme cosa succede.


Si parla di colpevolizzazione della vittima (o victim blaming) quando qualcuno ritiene che una vittima sia, almeno in parte, responsabile del torto subito. Il grado di responsabilità varia principalmente a seconda della situazione e delle ipotetiche motivazioni della vittima.

L’esigenza di creare questa etichetta nasce dal modo in cui il pubblico tende a reagire ad alcuni fatti di cronaca. Succede che alcune persone subiscano un’aggressione e che vengano criticate con l’accusa di esserne responsabili. Data la rapidità con cui vengono consumate le comunicazioni, i messaggi tendono ad essere sintetici ed estremisti, polarizzando il dibattito su due schieramenti contrapposti. Le opinioni tendono ad essere totalmente a favore di una parte o dell’altra, senza compromessi.

Come spesso accade, la realtà è invece più complessa delle opinioni.

In questo articolo non desidero offrire una risposta esaustiva. L’argomento è profondo e tocca innumerevoli temi che è davvero difficile sintetizzare in un breve articolo. Questa riflessione mira esclusivamente ad offrire uno sguardo sulla complessità del fenomeno.

Il caso di Harvey Weinstein

Harvey Weinstein

Harvey Weinstein

Ultimamente il victim blaming è diventato argomento di conversazione a seguito di uno scandalo nel mondo del cinema. Harvey Weinstein è un produttore cinematografico statunitense che lavora da molti anni a Hollywood. Recentemente diverse attrici hanno denunciato di aver subito molestie sessuali dal produttore. Tra queste figurano Asia Argento, Gwyneth Paltrow, Angelina Jolie, Cara Delevigne e Lena Headey.

Dopo alcuni anni di processi, Harvey Weinstein ha pagato alcuni risarcimenti milionari ad alcune persone vittime delle sue molestie sessuali.

Fin qui, l’argomento potrebbe essere molto semplice. Se una persona di potere approfitta della propria posizione professionalmente dominante per molestare sessualmente qualcuno gerarchicamente inferiore, commette un abuso di potere. L’abuso di potere è un reato e, nel caso venga dimostrato in tribunale, viene perseguito dal sistema giudiziario.

Alcune persone sostengono che questo non sia un caso di abuso di potere, ma piuttosto di prostituzione. Mettono in dubbio che le vittime siano state abusate e, invece, ipotizzano che abbiano avuto rapporti sessuali volontari per ottenere un vantaggio personale. Spostano quindi l’attenzione sulle possibili motivazioni sottostanti. Così facendo, sostengono che le motivazioni del prostituirsi e del cogliere l’occasione per estorcere del denaro siano più adatte a spiegare una versione credibile dei fatti di quanto non sia credibile l’accusa di molestia. Se non fosse chiaro, quindi il ruolo professionale di lui sarebbe considerabile meno esplicativo delle possibili e indimostrabili intenzioni di un certo numero di donne.

Il victim blaming nasce in questo genere di contesti.

La colpevolizzazione della vittima

Stop alle violenze sessualiIl victim blaming non avviene su ogni argomento. Generalmente questo fenomeno avviene per reati di natura violenta o sessuale. Nello specifico del caso di cronaca, lo stupro è un reato che riguarda la violenza nella sessualità. Quindi l’abuso sessuale è il reato che più di tutti rischia di innescare meccanismi di colpevolizzazione della vittima.

La maggior parte delle persone, indipendentemente dal genere, tende a prendere le parti della vittima. Statisticamente è possibile osservare che tra chi fa victim blaming sono presenti più uomini che donne. La percentuale tende a essere di due a uno. Questa tendenza rende il victim blaming un comportamento che sembrerebbe più tipico della mentalità maschile che di quella femminile.

Questo però non spiega come mai anche numerose donne promuovano la colpevolizzazione della vittima. È possibile che questo atteggiamento sia più complesso di quanto si tenda a pensare. Permettendomi di condividere un’ipotesi, è possibile che il victim blaming non sia una tendenza di genere, ma che sia alimentata dal rancore verso le vittime che suscitano invidia. Gli uomini mostrano una spiccata tendenza a colpevolizzare le donne solo nel caso in cui ci provino invidia per uno o più elementi che caratterizzano la loro idea della femminilità.

Guardando ad altri casi di attualità, alcuni ricorderanno una coppia di turisti rimasti uccisi durante le loro vacanze in Brasile dopo le olimpiadi di Rio 2016. Basta una breve ricerca su internet per leggere come quasi ogni articolo pubblicato online sulla notizia sia accompagnato da qualche commento che suggerisce che “i turisti se la sono cercata”. È possibile che questi commenti siano prodotti da persone che nutrono invidia nei confronti dei turisti. Anche questo è victim blaming.

Perché i reati sessuali o violenti innescano victim blaming?

Difficile spiegare universalmente cosa inneschi il bisogno di colpevolizzare la vittima. Ricopre un ruolo centrale il fatto che si giudica la persona per il comportamento che precede il reato. Il victim blaming non è direttamente rivolto al reato, ma al comportamento e alle intenzioni che l’hanno preceduto. Tendenzialmente nessuno critica chi è stato colpito da un vaso caduto casualmente da un balcone.

Capitan senno di poi

“Capitan senno di poi” è un personaggio di South Park che offre soluzioni per tutti i problemi dopo che le cose sono già accadute

Se una persona ha corso un rischio, si tende a giudicare la motivazione che si suppone l’abbia spinta a correre il rischio. Questa deduzione si basa su un’interpretazione completamente personale degli eventi. Con il senno di poi, alcune persone tendono a sentirsi sicure della propria opinione perché la sequenza di eventi già accaduta conferma il loro modo di vedere il mondo. Detto in altri termini, è una versione moderna e impersonale del “te l’avevo detto”.

È possibile prevedere di morire come conseguenza di un viaggio in Brasile? È un rischio, ma quanto è probabile? Quanti fattori determinano questa probabilità? È più rischioso andare in vacanza in Brasile o, per esempio, in Liguria? Andare in Liguria rende impossibile subire un reato violento? Allo stesso modo, è possibile prevedere una molestia sessuale sul posto di lavoro? Purtroppo può essere un rischio in ogni situazione, ma cosa lo rende più probabile? Abbigliamento? Luogo? Atteggiamento? Avvenenza? Essere esteticamente belli è una colpa o un motivo per meritare di subire una violenza?

L’illusione di poter controllare gli eventi è prodotta da idee riguardo se stessi e il mondo.

Giustizia e opinione comune

La giustizia, nel tentativo di essere più giusta possibile, tende a basarsi più sui fatti che sulle ipotesi. Il tribunale cerca di dimostrare se esiste colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio. Diversamente, l’opinione comune non usa uno strumento altrettanto raffinato.

Il fatto che uno strumento sia più complesso non lo rende necessariamente migliore. Non è detto che la legge sia migliore dell’opinione comune. Però le leggi vengono aggiornate con il passare del tempo per essere migliorate. Allo stesso modo, questioni come il victim blaming possono portare a chiedersi “come è possibile migliorare l’opinione comune”?

Copertina di giornale con victim blamingIn Italia le leggi sul tema dello stupro sono cambiate numerose volte. Terribilmente attuale risulta il documentario “Processo per stupro” del 1979. Mandato in onda dalla Rai, il documentario racconta un processo in cui la vittima di stupro diventa vittima anche dell’aggressività degli avvocati degli imputati. Nel 2019 la giustizia sembra funzionare meglio, ma l’opinione pubblica non è cambiata altrettanto.

Basti pensare alla vicenda del 2015 di Tiziana Cantone, la cui vita fu compromessa dalla diffusione di un video pornografico diventato virale su internet. In quell’occasione in molti hanno affermato che “poteva pensarci prima”. Ma è ancora più probabile che la protagonista, morta successivamente per suicidio, non fosse riuscita a prevedere le possibili conseguenze del suo gesto. Il video non racconta esclusivamente in una performance sessuale. L’uomo con cui fa sesso la schernisce, deridendo il partner che sta tradendo. Questa scena ha innescato innumerevoli interpretazioni sulle intenzioni della donna, favorendo un clima di colpevolizzazione che ha rovinato la vita sociale della protagonista del video e innescando alcuni meccanismi culminati nel suo suicidio. Tutti i rischi portano alle medesime conseguenze? Tutti i tradimenti o tutti video pornografici hanno lo stesso effetto? Se fosse davvero così, staremmo ancora parlando di rischi?

Prevedere le conseguenze

La mente spontaneamente cerca di anticipare le conseguenze del presente. È una caratteristica innata che apprendiamo dall’esperienza quotidiana. Se tocco un oggetto e provo dolore, poi sarò meno propenso a toccarlo di nuovo. Nonostante l’esempio semplicistico, la realtà è più complessa dell’idea che a ogni azione corrisponda una reazione. Nella realtà si compiono contemporaneamente infinite azioni e almeno altrettante reazioni. Di queste, solo una piccola parte è evidente e solo alcune sono comprensibili. Per questo, nonostante in teoria possa sembrare semplice, prevedere in modo affidabile il futuro è estremamente complesso.

Questa difficoltà diventa tangibile in un percorso di psicoterapia. Le persone che affrontano un percorso di psicoterapia spesso lo iniziano quando si rendono conto di non riuscire a superare in modo efficace le proprie difficoltà. Lo psicoterapeuta non conosce tutte le risposte. Ma rivolgersi a lui può essere utile per guardarsi dentro in modo più ordinato e trovare nuovi modi per affrontare i problemi. Formulare una domanda psicologica può risultare complicato se non si riesce a immaginare che pensare diversamente può essere una soluzione. Essere convinti di conoscere già i propri problemi è un ostacolo al chiedere aiuto e al trovare un modo più efficace di risolverli.

Come nel victim blaming si critica perché si è certi che la situazione fosse prevedibile, in generale essere sicuri della propria opinione è un problema ampio. La giustizia, diversamente dall’opinione comune, cerca risposte oltre il ragionevole dubbio. Quindi prova a limitare il più possibile l’interpretazione soggettiva. L’opinione comune, invece, è spesso molto sicura delle proprie idee. Nascono così estremismi e scelte radicali. Coltivare la propria capacità di dubitare è una risorsa fondamentale per la salute, per il benessere e per la giustizia.

La vulnerabilità di chi si affaccia al mondo del lavoro

Nella maggior parte dei casi chi si ritrova ad essere vittima ricopre una posizione più debole del suo aggressore. Questa debolezza, oggi più che mai, è osservabile tra le persone che entrano nel mondo del lavoro.

victim blaming nel mondo del lavoroIniziare una professione è una fase importante della vita. Generalmente, entrare nel mondo del lavoro si accompagna ad aspettative che vanno oltre la semplice retribuzione economica. Per molte persone il mondo del lavoro è (o diventa) uno specchio della propria immagine. Si tende a identificarsi nella professione che si esercita o che si vorrebbe esercitare. Così l’identità professionale tende a legarsi a doppia mandata all’autostima. Questa abitudine rende il lavoro un luogo in cui si mette in gioco qualcosa di più importante delle proprie competenze lavorative.

L’adolescenza, indipendentemente dal tema del lavoro, è un ulteriore fattore di rischio per il rapporto con gli altri. Durante l’adolescenza si tende a costruire l’idea del proprio ruolo nel mondo. Quando le difficoltà dell’adolescenza si sovrappongono all’ingresso nel mondo del lavoro, si crea ulteriore complessità.

Questi fattori di rischio aumentano la possibile vulnerabilità dei giovani che si affacciano al mondo del lavoro. È difficile valutare chiaramente quali siano le conseguenze delle proprie scelte quando 1) si ha poca esperienza, 2) si ha un’autostima fragile, 3) si desidera un lavoro necessario anche alla propria autostima, 4) si hanno dei dubbi sulle proprie competenze e 5) si viene accolti da un mercato del lavoro che non ha interesse a coltivare la professionalità dei giovani. Le vittime di Weinstein potrebbero aver avuto tutte queste difficoltà. Eppure capita troppo facilmente di sentire che “erano sicuramente solo delle prostitute che hanno cercato di guadagnarci sopra”.

Un contesto sociale imprevedibile

Zygmunt Bauman filosofo della societa liquida

Zygmunt Bauman

Nel victim blaming ricopre un ruolo anche la cultura occidentale. Quella attuale viene definita da anni una società liquida. Zygmunt Bauman è il primo ad aver usato questa definizione per descrivere la società contemporanea. Bauman descrive la società liquida come un mondo in cui le ideologie sono entrate in crisi e, di conseguenza, è emerso un profondo individualismo. Nella società liquida le persone sono prive di caratteristiche intrinseche, a favore di una totale possibilità di autodeterminarsi. Questa libertà è meravigliosa e, allo stesso tempo, drammaticamente difficile da gestire.

Nella totale libertà di una società liquida le persone finiscono per essere spinte sempre più alla competizione per il successo. Una disperata rincorsa verso la costruzione di un’idea di sé che altrimenti può risultare priva di contenuto per l’assenza di strutture sociali predefinite.

Il modello culturale occidentale (ormai quasi globale), potrebbe avere un ruolo nel favorire la colpevolizzazione della vittima. La fatica nel costruire un’identità potrebbe essere elemento centrale dell’eccesso di fiducia verso le proprie interpretazioni e nella dolorosità dell’invidia prodotta da persone che sembrano incarnare alcuni obiettivi che risultano personalmene inarrivabili. Il victim blaming non è ugualmente diffuso in ogni cultura, quindi è possibile che esistano anche delle modalità sociali per intervenire sul fenomeno.

Questa possibilità non può essere costruita usando le soluzioni passate. Le ideologie, una volta cadute, non possono essere riproposte a breve termine. Non sono credibili. La sfida della società liquida è quindi quella di proporre idee che non si distinguano per il contenuto, ma per il processo sottostante. Soluzioni in cui la forma della comunicazione contenga un messaggio socialmente utile senza la necessità di argomentarlo con un’ideologia.

Dialogare in modo gentile senza il bisogno di offendere può essere un passo in questa direzione.

La moderazione come soluzione per gli estremismi

Forse sono anche io descritto dall’idea espressa da Abraham Maslow quando suggeriva che “se il solo strumento che possedete è un martello, vedrete in ogni problema un chiodo”. Ma ritengo che la cultura psicologica possa essere una grande risorsa contro il victim blaming.

La psicologia offre maggiore contatto con se stessi considerando le idee, le emozioni e il corpo. Riuscire ad ascoltarsi più chiaramente può produrre due risultati importanti. 1) Entrare in contatto con la consapevolezza di come le proprie opinioni siano varie e, in parte, contraddittorie. 2) Imparare a prendere decisioni senza avere bisogno di essere sicuri delle proprie scelte. Si inizia così a correre dei rischi e questo, in un certo senso, è imparare a vivere.

Chi smette di essere profondamente affezionato alla propria opinione, tendenzialmente smette di essere estremista. Tende così a giudicare meno duramente gli altri e, anche, ad essere meno sicuro di avere tutte le risposte. Giudicare meno gli altri si accompagna ad un minor giudizio anche verso se stessi e ad una minore propensione verso l’invidia. Le persone con questo atteggiamento, tendenzialmente, non colpevolizzano le vittime.

Diversamente, aggredire un genere perché più responsabile dell’altro per il victim blaming, è controproducente. Denigrare la mascolinità per il comportamento di alcuni uomini (condiviso peraltro anche da una minoranza di donne) rischia di aumentare le distanze e di danneggiare una società in cui l’individualità e la distanza tra le persone è già dolorosamente ampia.

La cultura del dubbio

La cultura del dubbioPromuovere cultura e benessere psicologico può essere un modo per migliorare il tessuto sociale senza snaturarlo. E proporre una cultura del dubbio, che non deve essere fraintesa con quella che a volte viene definita la cultura del sospetto, può essere una scelta educativa e laica.

La cultura del sospetto sostiene che tutto sia tendenzialmente falso e inaffidabile. Invece nella cultura del dubbio si può sostenere che tutto sia discutibile e nulla sia certo. Questo non significa che non esistano idee corrette. Piuttosto che anche le idee corrette spesso non siano dimostrabili oltre ogni ragionevole dubbio. La scelta di quali idee perseguire non dovrebbe quindi basarsi su un principio universale di giustizia, perché sarebbe un ideale diverso per ognuno. Piuttosto è possibile scegliere quali idee coltivare per tentare di perseguire uno stile di vita desiderabile.

Dubbi, tentativi, scelte, sono elementi centrali del benessere emotivo. Le persone aperte al dubbio tendono a non essere certe di quanto una vittima possa avere delle responsabilità. Potrebbero averne un dubbio e, probabilmente, lo esprimerebbero come domanda, non come insulto.

Dr. Valerio Celletti