Riassunto

Il vittimismo è un problema identitario di cui è importante prendersi cura

La complessità del vittimismo

Parlare di vittimismo è estremamente complicato. Data la complessità del discorso che vado ad affrontare, premetto quando sia facile cadere in fraintendimenti e ragionamenti contraddittori. Per questo, proverò a spiegare in modo comprensibile una questione complessa che tocca questioni sociali di grande attualità, sia politica, sia sanitaria. La complessità e le contraddizioni sociali ricadono inevitabilmente sulla salute delle persone, finendo per provocare effetti più o meno evidenti che credo sia utile riconoscere per prendersene cura.

Vittimismo, un problema identitario complesso - Valerio Celletti

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Chi è una vittima e chi è un colpevole

Esiste una versione semplificata della realtà che distingue le persone secondo due semplici categorie. Vittime e colpevoli.

Chi è incluso nella categoria delle vittime è una persona che sta subendo o ha subito un danno fisico o intangibile di cui qualcuno è ritenuto colpevole. Il colpevole, invece, può essere una persona, un gruppo di persone, un sistema sociale, un’idea o una divinità.

La vittima è portatrice di un danno, mentre il colpevole è portatore di una colpa.

Le vittime hanno diritto a chiedere un risarcimento per i danni subiti. Se i danni non sono quantificabili o risanabili, allora le vittime hanno diritto ad avere le migliori condizioni possibili per prendersi cura del danno subito.

I colpevoli hanno il dovere di ripagare il danno provocato e, dove non è possibile risarcirlo, a favorire le migliori condizioni possibili perché la vittima possa prendersi cura del danno subito. La detenzione in carcere funziona secondo questo criterio, cioè limitare la libertà dell’individuo in quanto considerato incapace di gestirsi, con lo scopo di trattenerlo per il tempo ritenuto idealmente utile perché la vittima possa prendersi cura di sé guarendo dal danno e il colpevole possa imparare ad essere una persona capace di non ripetere le stesse colpe.

O almeno questo è il criterio con cui dovrebbe funzionare la giustizia nei paesi in cui la giustizia non è confusa con la vendetta.

Il victim blaming, cioè la colpevolizzazione della vittima

È frequente che erroneamente le vittime siano considerate colpevoli di aver favorito le condizioni che le hanno portate a subire il danno che le rende vittime. Una persona subisce una violenza sessuale e viene colpevolizzata per l’abbigliamento, o subisce un furto e viene colpevolizzata per non aver protetto adeguatamente i propri averi.

Quando accade, si commette l’errore definito victim blaming, o colpevolizzazione della vittima. (https://drvalerio.com/victim-blaming/).

È buona norma ricordare che le vittime vanno sempre considerate in funzione del danno subito e i colpevoli in funzione delle colpe loro imputabili. Vittime, danni; Colpevoli, colpe. Potenzialmente il discorso potrebbe essere molto semplice e lineare. Invece, è più complesso.

Nessuno è solo vittima o solo colpevole, ma le due categorie non sono mai sovrapponibili

I colpevoli hanno delle storie personali che possono vederli essere anche le vittime di qualcun altro. Non è raro che i criminali commettano crimini che precedentemente hanno vissuto come vittime dirette o indirette. Come le vittime di una situazione possono essere anche colpevoli in altre interazioni o altre fasi della stessa interazione. Tutte le persone che si trovano a vivere la condizione di vittima di un episodio hanno, come chiunque, una storia personale che non scompare dopo aver subito un episodio in cui essere state vittime.

Nessuna persona è solo vittima o solo colpevole. La realtà è complessa e, alternativamente, tutti prima o poi possono trovarsi a rivestire entrambi i ruoli. Nonostante questo, è opportuno mantenere distinte le due etichette. Per quanto una visione complessa della realtà possa considerare tutti sia vittime sia colpevoli, nella specificità di una situazione, contestualmente a uno specifico momento, è possibile essere solo o vittima o colpevole. Mai entrambi.

In quel preciso istante, le vittime non hanno colpe e i colpevoli non hanno crediti di danni da estinguere a discapito della salute o della libertà o della sicurezza altrui.

L’etichetta di vittima o colpevole è intimamente contestuale e non può essere svincolata dalla situazione in cui viene a crearsi.

Cos’è il vittimismo?

Il vittimismo è un’esperienza identitaria caratterizzata dal pensare di essere vittima in modo stabile e continuativo indipendentemente da un evento o un momento specifico. La persona vittimista tende a considerarsi vittima o comunicare di esserlo nella speranza di ottenere vantaggi che non vanno realmente a risolvere il danno identitario che le accompagna.

L’etichetta di vittima non riguarda una persona nella sua totalità, ma un momento specifico o una serie di momenti nella storia persona dell’individuo. Diversamente, l’etichetta del vittimista è un’etichetta generale che la persona ha interiorizzato e che inserisce nei propri ragionamenti indipendentemente dalla situazione in cui si è sviluppata.

Qualche esempio di vittime e possibile vittimismo

Dato che l’argomento è complesso, è utile provare a formulare qualche esempio. Il vittimismo non è mai certo. Tutte le persone considerabili vittimiste sono spesso, in realtà, vittime gravemente danneggiate da esperienze precedenti che non riescono a stare meglio. Quando si è in dubbio, è opportuno preferire l’interpretazione da vittima che non da vittimista e porre dei limiti di buon senso al supporto offerto.

Vittimismo nel diritto allo studio

Una persona che si è vista negare il diritto allo studio è vittima di una realtà, familiare e sociale, che non lo ha tutelato, e quindi ha diritto ad essere supportata a recuperare gli anni di studio persi. Diversamente, la stessa persona non ha diritto ad avere accesso ad un reddito con cui vivere senza formarsi ad una professione, e tale richiesta potrebbe essere segnale di un atteggiamento vittimista.

È complesso distinguere tra una vittima e una persona che si comporta in modo vittimista. Nel vittimismo la persona ha interiorizzato la propria idea di sé in quanto vittima e questa idea potrebbe ostacolare in modo permanente la possibilità che la persona riesca a considerarsi capace di approcciare la sfida dello studio. Tale idea danneggiata di sé, sintetizzabile in un generico “non riesco a studiare”, “non sono tagliato per lo studio”, “purtroppo sono stupido”, sono un danno profondo di cui la persona è vittima. È possibile lavorare sul certificare le sue reali potenzialità mentali. Come è possibile supportarla in psicoterapia perché riesca ad avere accesso ad un’idea maggiormente realistica di sé. Altrettanto, è possibile che un danno identitario sia irreparabile nel momento in cui la persona non riesce a ricevere il supporto adeguato o non riesce a utilizzare efficacemente le risorse a sua disposizione.

Il vittimista non riesce a capire che potrebbe stare meglio. Come scritto precedentemente, quando si è in dubbio è opportuno considerare la persona vittima ed essere il più prudenti possibile prima di etichettare qualcuno come vittimista.

Vittimismo nel mobbing

Una persona che è vittima di una situazione professionale insoddisfacente in cui subisce pressioni e vessazioni che ledono il suo diritto alla dignità ha diritto ad essere supportata perché possa svolgere il proprio lavoro in modo dignitoso. Ma se questa persona non usufruisce del supporto a sua disposizione per difendere il proprio lavoro o ricollocarsi in realtà più virtuose e si limita a lamentarsi del lavoro cercando supporto e rassicurazioni, potrebbe essere considerata vittimista.

La persona vittimista ha interiorizzato un’idea danneggiata di sé in quanto almeno parzialmente meritevole del mobbing ricevuto. Questo è possibile sia conseguenza della violenza di cui è vittima nel contesto attuale, come è possibile sia conseguenza di violenze precedenti di cui è stata vittima che hanno danneggiato la sua idea di sé, provocando la convinzione di non essere mai abbastanza nel performare.

È possibile essere sia vittima sia vittimista

È frequente che le persone che sopportano il mobbing professionale senza reagire abbiano interiorizzato un’idea perfezionistica di come si dovrebbe performare nel lavoro e che, quindi, giustifichino in parte chi si comporta in modo violento nei loro riguardi. Nel caso in cui questo danno sia conseguenza dell’interazione attuale, il datore di lavoro che fa mobbing è colpevole di tale danno. Diversamente, se tale danno è precedente all’interazione attuale, il datore di lavoro che fa mobbing è comunque colpevole per il proprio comportamento violento, ma non è colpevole di un danno identitario che è precedente alla loro collaborazione professionale. Il lavoratore potrebbe essere vittima di un’interazione precedente, vittima di un comportamento violento attuale e vittimista per un ragionamento identitario che attribuisce erroneamente alla violenza in corso.

Vittimismo nel bullismo

Una persona che è vittima di bullismo in una scuola o in un’istituzione in cui subisce violenze fisiche o verbali ha il diritto ad essere messa nelle condizioni di sentirsi sicura e libera nel frequentare la propria scuola o nell’usufruire dei servizi istituzionali di cui ha bisogno. Altrettanto, se questa persona, messa nelle condizioni di essere protetta e tutelata, continua a lamentarsi di essere vittima dell’ostilità altrui ma non permette l’attuazione di nessun provvedimento nei confronti dei molestatori e si limita a frequentare altri ambienti in cui si presenta come la vittima di quanto accaduto, potrebbe essere un comportamento vittimista.

Il bullismo spesso avviene durante il periodo dello sviluppo, cioè durante periodi delicati dello sviluppo dell’identità individuale. Durante tali periodi è frequente che essere vittime di qualcuno possa facilmente indurre in ragionamenti identitari negativi che possono portare facilmente a comportamenti vittimistici futuri. Nel bullismo, la vittima spesso è sia vittima di un comportamento violento, sia vittima di un ragionamento identitario danneggiato che sta iniziando a coltivare. Quando le vittime di bullismo non sono supportate correttamente, diventano rapidamente vittimiste e finiscono per gestire male sia la violenza attuale, sia le violenze che in futuro, purtroppo, affronteranno nella vita.

Il vittimismo dei bulli

Altrettanto, spesso anche i colpevoli hanno un’età vicina alle vittime e sono in un periodo di formazione per la propria idea di sé. I bulli sono spesso vittime di altre situazioni. Vittime di problemi genitoriali, familiari, sociali o relazionali. Altrettanto, essere vittime in una situazione non legittima ad avere comportamenti colpevoli in altre interazioni. Come scritto precedentemente, nei paesi civili la giustizia non è vendetta e, soprattutto, l’etichetta di vittima è un’etichetta contestuale e non generalizzabile. I bulli è frequente che commettano questo errore di generalizzazione, avendo un modo di ragionare vittimista e finendo per legittimarsi erroneamente a comportamenti colpevoli.

In tali contesti, è frequente che i bulli, quando scoperti, possano essere realmente convinti di essere a loro volta vittime di altri meccanismi sociali. È comportamento frequente che i bulli, in modo criminale, accusino di essere delle spie (sei uno snitch) le loro vittime. Il bullo si convince di essere vittima di una spia e la vittima corre il rischio di pensare di aver avuto un comportamento scorretto nel denunciare le scorrettezze altrui.

Vittimismo e cooperazione

Le vittime riescono a prendersi cura dei propri danni solo quando sono vittime di un danno che la società riesce a comprendere.

A seconda del periodo storico, la società concettualizza e riconosce forme di danno diverse. Un modo semplice ed efficace per favorire il riconoscimento di un danno consiste nel dargli visibilità. Essere in gruppo e cooperare con persone che hanno subito un danno simile al proprio è un buon modo di favorire il proprio riconoscimento di vittima e, successivamente, poter essere aiutati nel prendersi cura del danno subito e smettere di essere vittime.

Le vittime, anche quando riunite in gruppo, non condividono mai lo stesso danno. Quello che caratterizza una vittima o un colpevole è una considerazione profondamente contestuale. Nessuno è vittima o colpevole in senso assoluto o per lo stesso identico motivo. Altrettanto, per ottenere visibilità e riconoscimento sociale è necessario generalizzare alcuni ragionamenti creando etichettature generali che la società possa comprendere. Le donne, le etnie non caucasiche, le persone economicamente povere, gli orientamenti sessuali non eterosessuali, le identità di genere non binarie, ecc…

Identità vittimista e orgoglio

Far parte di un gruppo può offrire elementi identitari importanti che, per ognuno, hanno un impatto diverso sulla propria identità. Appartenere a un gruppo che si etichetta in quanto vittima, svincolato da episodi specifici e personali, espone al pericolo di favorire un processo di vittimizzazione che è pericoloso in primo luogo per la persona stessa. È pericoloso che le persone di genere femminile si considerino vittime in senso generale, che le persone non caucasiche si considerino vittime in modo stabile, ecc… Perché per quanto sia drammaticamente reale che molte persone incluse in queste categorie sono spesso vittime di situazioni dannose, altrettanto considerarsi identitariamente vittime espone a ragionamenti vittimistici controproducenti.

È frequente che i gruppi che riuniscono le persone con il lodevole obiettivo di proteggere le vittime e prendersene cura, finiscano per diventare movimenti di orgoglio che teorizzano in modo bizzarro la superiorità del proprio gruppo rispetto al gruppo di persone ritenute tutte acriticamente colpevoli. Sono fenomeni che è possibile riconoscere in forme di pregiudizio che possono essere definite pregiudizio alfa e pregiudizio beta. Il pregiudizio alfa è quello che tende a considerare negativamente alcune caratteristiche di certe persone in quanto appartenenti a un gruppo. Il pregiudizio beta è quello che tende a considerare positivamente alcune caratteristiche di certe persone in quanto appartenenti a un gruppo. Sono entrambi pregiudizi divisivi che creano conflitto sociale.

Promuovere supporto ed equità rinunciando a movimenti di orgoglio è una sfida importante che riguarda tutte le associazioni a tutela delle vittime.

Prendersi cura di chi è vittimista

Il vittimismo è spesso considerato un comportamento malizioso e ostile di chi desidera approfittare di una situazione per ottenere un vantaggio personale. Fingersi una vittima non è vittimismo. Chi finge di essere una vittima è colpevole di truffa. Le persone vittimiste sono persone che sono realmente convinte di essere vittime e che onestamente credono di avere bisogno di aiuto ma che pensano di non riuscire ad usufruirne per scarsità delle risorse offerte. A volte è vero che le risorse offerte non sono adeguate. Altre volte, invece, nonostante le risorse siano adeguate, è sbagliato il focus sul problema.

Le persone vittimiste chiedono aiuto per affrontare delle difficoltà che non sono il loro problema principale. Il problema principale di una persona vittimista non è il problema che lamenta, ma la sua idea stabile di essere una vittima indipendentemente dalla questione contestuale per cui si lamenta di essere vittima e di cui, ragionevolmente, è davvero vittima. Per aiutare una persona vittimista è importante aiutarla a rendersi conto di come stia pensando sé stessa in modo danneggiato indipendentemente dalla situazione specifica. È probabile che la persona vittimista non sia in grado di capire quanto sia danneggiato il proprio modo di pensare sé stessa, e possa trarre giovamento dal rendersi conto di come il suo modo di relazionarsi con il prossimo sia sbilanciato a causa di ragionamenti identitari poco equi.

Lavorare sul vittimismo

Lavorare sul proprio modo di relazionarsi è uno degli aspetti su cui è spesso utile lavorare in psicoterapia per prendersi cura di sé e sbloccare alcune situazioni che sembrano irrisolvibili, mentre spesso possono essere (faticosamente) affrontate provando a gestirsi nel modo più ragionevole possibile.

Dr. Valerio Celletti

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